June ha un sogno, costruire Meravigliandia, un fantastico parco dei divertimenti per spassarsela con genitori e amici. Siccome la sua fertile creatività mette a rischio l’incolumità sua e del quartiere intero, i genitori la canalizzano in qualcosa di più gestibile: un modellino che presto invade tutta la casa. Un progetto che June coltiva con la madre, sua complice e ispiratrice, almeno fino al giorno in cui la donna si ammala e deve allontanarsi per le cure. Rimasta sola col padre, June ripone il plastico in soffitta e con esso la fantasia. D’ora in poi si occuperà solo di tenere in ordine. Ma un giorno si imbatte realmente in Meravigliandia e scopre che il parco è in pericolo, minacciato da una nuvola nera distruttrice.
Nella vita di ogni persona giunge il momento in cui si è costretti a uscire dalla fanciullezza ed entrare nella fase adulta. Questo passaggio può essere graduale o traumatico. Nel caso di June è la malattia della madre a segnarlo. Quando i genitori la prendono da parte per comunicarle che la madre ha bisogno di cure, qualcosa dentro di lei si spezza. La spensieratezza lascia il posto all’incertezza, la fantasia viene sostituita dal senso di responsabilità. Le energie che prima usava per disegnare e costruire mondi fantastici le utilizza ora per tenere pulito e prendersi cura del padre. Non può davvero permettere che si ammali anche lui. È una reazione istintiva, un cambiamento che si autoimpone e che rischia di “spegnere la luce” dentro di lei. Di questo si era raccoman- data la madre prima di partire per l’ospedale: «Non lasciare spegnere la luce dentro di te», le aveva chiesto. June però non l’ha ascoltata, o forse non l’ha capita. Poi un giorno, mentre scappa dal campeggio a cui l’ha iscritta il padre perché non vuole rimanga solo, succede l’impensabile. Si trova davvero nel parco dei divertimenti che ha immaginato con la madre e scopre che una forza oscura lo sta devastando e che i suoi amati amici, le mascotte, sono in pericolo. È in quel momento che June capisce che tradire quel sogno significherebbe perdere sua madre due volte e che de- cide di darsi da fare perché almeno quel ricordo non venga spazzato via.
Il tema della paura della morte al centro di un cartone animato, un mix ardito e non semplice da ottenere. Ecco perché Wonder Park si merita l’aggettivo di coraggioso. Non si limita a intrattenere, ma cerca di far riflettere. Il suo limite, per paradosso, è che la parte meno convincente è proprio quella in cui dovrebbe dominare la fantasia, quella del parco dei divertimenti, dove pare più di essere in un videogame sparatutto che nel regno della fantasia. Notevoli invece le parti drammatiche tratteggiate con calore, delicatezza ed empatia. In definitiva un prodotto non perfetto, ma col pregio della profondità.
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