A.A. Milne ,brillante scrittore traumatizzato dalla Prima Guerra Mondiale, trova una rinascita nel rapporto con il figlioletto e nelle storie che scrive per lui ispirandosi al suo orsacchiotto. Ma l’improvviso successo planetario della sua opera mette alla prova la tenuta della fragile famiglia ed è per Christopher un’eredità complicata da gestire…
Incerto tra il classico racconto alla Shakespeare in Love (epitome di un certo modo di raccontare la genesi dell’opera d’arte attraverso la biografia del suo autore) e il dramma familiare strappalacrime, questo omaggio al creatore dell’orsacchiotto di pezza più famoso del mondo si perde per molte strade senza riuscire a seguirne fino in fondo nessuna.
Da un lato A.A. Milne (Domhnall Gleeson, sempre molto bravo), autore umoristico così traumatizzato dalla guerra di trincea da volersi dedicare a un libro contro la guerra e ritirarsi in campagna lontano dalla vita mondana, dall’altro la sua brillante consorte (Margot Robbie, australiana, ma convincentissima come londinese amante della vita di società), che lo vorrebbe autore di successo e che ritiene pressoché esaurita la sua funzione di madre dopo aver partorito il suo erede.
Nel mezzo un bambino, Christopher Robin, affidato alle amorevoli cure di una tata religiosa e affettuosissima, ma inevitabilmente di troppo nel già complicato rapporto tra i genitori.
Finché un giorno il padre, mollato da solo con il pargolo per urgenze familiari della tata e indisponibilità della consorte, scopre che la migliore medicina per il suo disagio sono proprio le storie fantastiche che crea per suo figlio e che hanno per protagonista un avventuroso orso di pezza.
È in questo momento che il film, per il resto condotto con un’onesta ma non indimenticabile regia, cerca un’apertura fantastica che renda lo sguardo fantasioso, innocente e meravigliato sul mondo che ha reso un piccolo orso di pezza un compagno di giochi per tanti bambini.
Fin qui tutto bene, perché poi a complicare le cose interviene l’imprevedibile successo letterario (con tanto di giri promozionali, concorsi e merchandising ante litteram), destinato a lasciare il segno su un bambino che diventa troppo presto solo un personaggio e che al “maledetto orso” deve cedere l’attenzione paterna così faticosamente conquistata trovandosi segnato per la vita da quella notorietà mai cercata.
Né Milne, con i suoi traumi dolorosi e l’ossessione per la pace nel mondo, che non riescono a giustificare del tutto l’egoismo dell’artista (di fatto la sua intera opera letteraria verrà offuscata dai due libri per bambini), né la moglie, che esaurisce i propri slanci materni in rari momenti di istrionica presenza, sono personaggi che destino molta simpatia, neppure quando spasimano per la sopravvivenza del figlio soldato.
Il piccolo Christopher, comprensibilmente, viene fuori piuttosto disturbato e pur di liberarsi della pesante eredità familiare finisce addirittura volontario in guerra allo scoppio del secondo conflitto mondiale.
L’unica che sembra avere un’idea minimamente chiara dei bisogno di Christopher è la tata, che però a un certo punto, esasperata, molla tutti quanti per farsi una famiglia sua.
Quello che emerge è uno strano ritratto di famiglia disfunzionale con artista, in cui l’operazione letteraria è vista di volta in volta come veicolo di catarsi personale, tramite di legami incerti e dolorosi, operazione commerciale senza scrupoli, o catalizzatore di una grande consolazione collettiva di fronte ai traumi di una generazione.
Perso in queste troppe suggestioni il film finisce talvolta per diventare un po’ noioso nei suoi snodi e a tratti involontariamente ridicolo dove vorrebbe essere sinceramente drammatico.