Richard Williams, guardia giurata in un pericoloso quartiere di Los Angeles, si imbatte un giorno nella notizia dei ricchi premi partita nel tennis femminile professionistico. Allettato, concepisce un’idea ambiziosa. Instraderà le sue figlie in questa disciplina per farne delle super campionesse. Il film racconta il realizzarsi del progetto. Molto improbabile, ma corrispondente alla vera storia di Venus e Serena Williams, le due ragazze di colore che hanno dominato il tennis mondiale negli anni Duemila. Con cocciutaggine, metodo, severità, ma anche con premura paterna e simpatica faccia tosta, Richard lavora di notte, per dedicarsi di giorno alla causa degli allenamenti, della ricerca di benefattori e di coach alla sua altezza. La prima a dargli soddisfazione sarà Venus, su cui la pellicola si concentra, lungo una storia che è sì quella di un visionario alla caccia del sogno americano, ma anche quella di una famiglia amorevolmente unita al suo fianco.
Se sarai riuscito a crescere i tuoi figli in modo che sappiano meritarsi rispetto, affrontando la vita con coraggio, sarai stato un buon genitore. È il messaggio di un family drama scritto di buon mestiere, ma con intento elogiativo un po’ troppo evidente. Si apprezzano gli spunti educativi e si gusta la nascita di carriere impareggiabili. L’approccio agiografico avvertibile conferisce però alla pellicola una nota di scontatezza.
Nel tennis sono frequenti i genitori-allenatori esigenti, che plasmano i figli fin da piccoli sulle proprie aspirazioni. Alimentando rapporti irrisolti, conflittuali. Il bestseller Open ha reso emblematico il caso di André Agassi, con un padre alla ossessiva ricerca di un campione tra i suoi bambini. Un po’ di questo c’è senz’altro anche nella biografia delle due Williams, se è vero che Richard desiderava avere delle figlie proprio in funzione del suo disegno sportivo. Tanto che prima che nascessero aveva già redatto un piano di settanta pagine su come costruire, negli anni, delle fuoriclasse. Il film, però, ha molta cura nello smussare questi aspetti, così da renderci la questione in termini non problematici. Anzi, addirittura positivi. Le testimonianze delle prodigiose sorelle, d’altra parte, depongono a favore di un quadro sereno, giocoso. Di sano agonismo.
La storia è perciò quella di una grande scommessa. Un’avventura familiare fuori dagli schemi, in cui Richard conta sulla complicità e il supporto dei suoi cari. Il van in stile Little Miss Sunshine su cui i Williams sempre al gran completo, genitori e cinque figlie, raggiungono i campi di gioco è metafora di questo spirito unito e baldanzoso. Motore inesausto dell’impresa, spalleggiato da una moglie competente di tennis e in grado di contraddirlo, Richard è tratteggiato diretto e testardo – dice lo sceneggiatore, avendo in testa il modello di Erin Brockovich.
Il personaggio è accattivante perché scherza quando riceve dei no – i ricchi bianchi che all’inizio, nei club altolocati, non credono in lui. È inoltre ammirevole per come, mentre fa di tutto per le atlete, mantiene la priorità alla loro formazione come persone. Venus, Serena e le loro sorelle devono studiare, vivere secondo la loro età, non importa se si ritarda l’ingresso nel circuito professionistico. Soprattutto, grazie al padre che le ha spinte allo sport, diversamente da tanti coetanei di colore, le Williams stanno lontane dalla strada, regno di gang come quella che aggredisce il protagonista. Ma il film non dice che Richard, pur potendoselo permettere, decise di non trasferirsi da quell’area disagiata proprio perché le future numero uno del mondo ne venissero forgiate… Né si dilunga sulla travagliata vita sentimentale dell’uomo, prima e dopo l’affermazione delle figlie. Invece segue il binario di un afroamericano cresciuto in povertà e discriminazione che, cercando rispetto, arriverà a capire quando sarà giunto il momento di lasciare che Venus decida da sé della sua vita.
Il dialogo migliore del film è quello con il coach scettico, secondo il quale imparare il tennis ad alto livello è difficile come imparare a suonare il violino. Il dialogo peggiore è quello con i due agenti, che Richard conclude con un peto. Per un istante, Will Smith come Alvaro Vitali.
Al di là di tutto, Una famiglia vincente si lascia vedere. Celebra un modello di educazione tradizionale, che oggi probabilmente si definirebbe “rigida”, facente perno su una figura paterna amabilmente impositiva.
Paolo Braga
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