Vincent ha sedici anni, da sempre vive con la mamma e il papà adottivo, poiché il papà naturale si è fatto da parte ancora prima che nascesse. La sua situazione familiare è certamente complessa, resa ancor più complicata dal fatto che Vincent soffre della sindrome di Asperger. Un giorno Willi, il padre, un cantante ribattezzato “il Modugno della Slovenia”, spinto dalla irresistibile curiosità di vedere quel figlio che non ha mai visto, si reca a casa della ex moglie. La moglie lo respinge malamente, ma Vincent coglie l’occasione. All’insaputa di tutti si nasconde nel pick-up del padre. Quando questo se ne accorge è troppo tardi: il tour attraverso i Balcani è iniziato. Finalmente padre e figlio hanno modo di scoprirsi, e scoprire che forse hanno bisogno l’uno dell’altro.
Tutto il mio folle amore è un roadmovie agrodolce, che riunisce nella stessa vicenda il dolore dell’abbandono con la dolcezza degli affetti ritrovati; di un figlio per il padre, di un padre per il figlio, e da ultimo anche di una madre per il proprio figlio. Il tutto sullo sfondo di una terra che per storia, colori e atmosfera trasuda nostalgia. Quale luogo migliore, perché veda finalmente la luce un rapporto che non è mai esistito, delle sconfinate e desertiche pianure di Slovenia e Croazia, luoghi vergini e senza memoria? Il tutto innaffiato dalle dolci note dei capolavori di Domenico Modugno (Cosa sono le nuvole e Nel blu, dipinto di blu) e del brano Vincent, successo di Don Mc Lean degli anni Settanta, intensamente interpretate da Claudio Santamaria.
Ma la vera protagonista, in quella che potrebbe presentarsi soltanto come mera descrizione di dinamiche familiari particolarmente drammatiche, è la diversità. L’autismo di Vincent spezza consuetudini, rompe silenzi, stravolge equilibri, rendendo la vita, già di per sé non-ordinaria, stra-ordinaria. Willi abbandona Vincent prima ancora di sapere che il figlio avrà qualcosa di speciale e misterioso, vinto dal timore di affrontare le quotidiane responsabilità di un genitore. Non immagina che con l’arrivo di Vincent niente sarebbe più stato ordinario. E a ben rifletterci, l’arrivo di un figlio, a prescindere da patologie o sindromi cromosomiche, già di per sè segna un’infrazione dell’ordinario. Ma questo Willi non lo sa, e ha bisogno di tutto un viaggio, lungo una terra senza passato, per iniziare a capirlo e comprenderlo. Così, tra un dialogo interrotto bruscamente e un altro che si ripete all’infinito, tra una reazione inconsulta e un imprevisto gesto d’affetto da parte di quel figlio sconosciuto, Willi impara la pazienza dell’essere madre, che fa sì che non ci si arrenda nel voler conoscere il proprio figlio, e la necessaria presenza imposta dall’essere padre, la quale è stata costantemente (anche se inconsciamente) desiderata dal proprio figlio.
Certo, padri non ci si improvvisa da un giorno all’altro, e in effetti Willi è un genitore ancora immaturo, ma la cosa importante, che Salvatores sembra voler sottolineare, è che paternità non coincide con mancanza di libertà, anche se talvolta è facile dimenticarsene.
Ed ecco che dopo il viaggio di Willi e Vincent, ognuno alla scoperta dell’altro per trovare se stesso, è il turno della madre, che logorata dalle fatiche quotidiane, ha perso nel tempo la freschezza del rapporto con il proprio figlio, privandosi della parte migliore. Al marito di lei, un Abatantuono tanto docile e paterno quanto inedito, che per tutta la vicenda ha l’ingrato compito di rabbonire una Golino sul perenne orlo di una crisi di nervi, non rimane che prenderne atto: tutto sommato ella si merita che dopo sedici anni di paziente dono di sé, sia qualcun altro a dimostrare la medesima pazienza nei suoi confronti.
Scegliere un film 2020
Tag: 3 stelle, Drammatico, Film Italiani, Road Movie, Viaggio interiore