Tel Aviv brucia è il titolo di una soap opera amata da ebrei e arabi. Ed è la fiction dove lavora Salam, che ha 30 anni e non ha ancora trovato la sua strada.
Tel Aviv brucia. Non a causa di bombe o di nuove azioni di guerra. Ma di una soap opera (si intitola Tel Aviv brucia) amata dalle donne (e non solo) arabe e palestinesi. È girata a Ramallah, la città situata a poco meno di 20 chilometri da Gerusalemme e che dovrebbe essere la capitale della Palestina. Ci lavora, grazie a Bassam (Nadim Sawalha), lo zio produttore, Salam (Kais Nashif) che vive a Gerusalemme e ogni giorno è costretto a passare il check point israeliano. Ha 30 anni e non ha ancora trovato un impiego fisso. Porta caffè e corregge l’accento degli attori perché conosce bene l’ebraico. Non è molto stimato sul set: non è puntuale, interrompe le scene… eppure la sua imbranataggine, ostacolo nel passato, diventa opportunità nel presente. Basta poco perché Tala (la brava attrice belga Lubna Azabal), l’unica star francese della soap opera, inizi a fidarsi di lui. A tal punto che la sceneggiatrice, che lavora anche sul set, abbandona la serie e tutto ricade nelle mani di Salam. Riuscirà a portare a termine il suo primo grande lavoro?
E poi riuscirà a riconquistare Mariam (Maïsa Abd Elhadi), la ragazza araba, suo amore di infanzia, che ha lasciato, sempre goffamente, perché con lei diceva di sentirsi come un pesce che nuota nel Mar Morto?
Pieno di battute geniali che generano, scena dopo scena, incomprensioni, dissapori e apparenti sconfitte, Tutti pazzi a Tel Aviv è una commedia irresistibile dove niente e nessuno è fuori posto. Riesce, lì dove ci hanno provato documentaristi e grandi registi, a raccontare con il sorriso i pregiudizi, le incomprensioni, i conflitti, costruendo un affresco oggettivo contemporaneo e misurando sapientemente anche le informazioni storiche. Il tutto grazie a una soap opera ambientata nel 1967 durante la guerra dei Sei giorni, il conflitto che Israele vinse contro Giordania, Egitto e Siria e che ha dato origine alla questione palestinese. In Tel Aviv brucia infatti i protagonisti sono un capo israeliano che si innamora, non sapendolo, di una spia palestinese, che è innamorata, a sua volta, di un terrorista. La storia, che avrebbe un finale già scelto, sarà l’inizio anche di una strana collaborazione tra Salam e il capo israeliano del check point, la cui moglie va “pazza” per Tel Aviv brucia. Non c’è bisogno di violenza, né di feriti, bombe o urla. Ci sono mitra, militari, e tanto altro, ma mai nessuno scoppio, bomba o sparo. Certo, ci sono uomini armati che incappucciano e minacciano sequestri per mancate promesse, però la scenografia – al di fuori del set – non è volutamente edulcorata. Basta infatti poco al regista per raccontare le macerie prodotte dalle guerra e lo fa attraversa una scena in cui Salam, alla guida della sua vettura, percorre una strada polverosa, piena di macerie palestinesi, che non lo porterà da nessuna parte. Infine, non manca, quella velata ironia sui cellulari, sui selfie e sul divismo. Senza moralismi facili o inutili omelie, Tutti pazzi a Tel Aviv è un film profondo, ironico e leggero in cui si ride, si sorride e si pensa. Guardandolo si comprende ancora una volta che la commedia non ha bisogno di facili stratagemmi per risultare piacevole e intelligente.
Scegliere un film 2019
Tag: 4 stelle, Commedia, differenze culturali, Drammatico, Sentimentale