New England, 1970. Si avvicina il Natale e gli studenti della Barton Academy – un collegio per ragazzi delle scuole superiori – attendono trepidanti la fine delle lezioni per trascorrere le festività ciascuno a casa propria. Tutti tranne Angus, diciassettenne scaricato da famiglia e amici, che suo malgrado si ritrova a passare le vacanze natalizie nell’enorme struttura scolastica in compagnia solamente della cuoca, Mary, e del professore di storia antica, Paul, un uomo sadico e saccente, mal sopportato da studenti e colleghi. Sembra l’inizio di un incubo, per il ragazzo, e invece la situazione evolve per vie inaspettate…
Alexander Payne, già premiato per film come Sideways e Paradiso Amaro, mette in scena un’altra sceneggiatura brillante per raccontare la triste vicenda di due cuori solitari costretti a convivere a stretto contatto per un periodo breve ma intenso, un tempo di guarigione che costringe entrambi a mettersi in gioco personalmente e, finalmente, ad evolversi. I due personaggi al centro della storia, trincerati dietro un muro di cinismo ed aggressività, nascondono ferite e paure inespresse che vengono svelate a poco a poco nel corso della storia, in una progressione narrativa decisamente coinvolgente da un punto di vista emotivo.
L’esperienza assurda e comicamente surreale nella quale i due protagonisti rimangono intrappolati, sembra la premessa di una inevitabile china verso il peggio, ma la desolazione del contesto e le malinconiche acque esistenziali in cui entrambi navigano, vengono raccontate con leggerezza ed una buona dose di ironia, finché il bisogno di affetto dei due esplode in tutta la sua complessità.
Il punto di forza, come in altri film di Payne, più che la trama o le scelte registiche, è la costruzione dei personaggi, definiti molto chiaramente nella caratterizzazione ma ancor di più nella loro verità più profonda. Il rapporto tra i protagonisti, così misteriosi e contraddittori, muove con decisione la trama altrimenti statica e claustrofobica, date le premesse. La sviluppo della storia rivela infatti due personaggi molto più simili tra loro di quello che si potrebbe pensare in prima battuta, quasi come due versioni della stessa persona prese ad età diverse: da una parte il giovane Angus che pare non essere mai stato amato ma ancora ci spera, perché alla sua età vuole e deve credere che l’amore esiste ed è possibile, anche per lui, e dall’altra parte l’adulto Paul che partendo forse dallo stesso punto iniziale, si è ormai arreso, nella sua maturità ferita e disillusa, arrivando alla triste conclusione che se non si può essere amati almeno sì può essere odiati, che in fondo è meglio dell’indifferenza (e forse anche per questo fa di tutto, si capisce, per attirare il risentimento degli altri). Questa avversione per la sua persona lo mette infatti nella comoda e vantaggiosa posizione della vittima, che lo autorizza a compatirsi e a rivalersi sugli altri, soprattutto su chi è più debole di lui (cioè i suoi studenti).
Nonostante l’amarezza dello starting point, il bilancio finale sarà tutto sommato positivo, il tema latente della paternità è sviscerato in modo esauriente e lancia infine il messaggio che anche se è difficile, perché purtroppo le cose non sempre finiscono nel migliore dei modi, il bene esiste, talvolta nascosto in profondità dentro le persone ma sempre pronto a scaturire attraverso quegli spiragli che si chiamano ferite…
Gabriele Cheli
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