Guerra in Afghanistan, il sergente John Kinley ha bisogno di un nuovo interprete con i cittadini del territorio; è così che conosce Ahmed. C’è attrito tra i due, Ahmed tende a ragionare con la sua testa e seguire poco gli ordini, e Kinley non sa mai se fidarsi. Ma quando in un agguato dei talebani la squadra di Kinley viene sterminata e il sergente rimane mortalmente ferito, Ahmed inizierà un lungo viaggio per le montagne del deserto afgano, cercando di salvare il suo superiore. Un debito di vita che torturerà la coscienza di Kinley.
C’è stato un tempo in cui il nome Guy Ritchie era promessa di un certo tipo di cinema. Era il tempo di film sporchi come The Snatch, Lock & Stock e RocknRolla, ma anche di film più tradizionali eppure con stile come Sherlock Holmes e il suo sequel. Di quel Guy Ritchie qui non c’è quasi traccia. Non la sua ironia, non i dialoghi scoppiettanti, o la regia e il montaggio audaci. L’approccio è molto più semplice e canonico, un classico film di guerra che cerca di raccontarsi “seriamente” senza riuscirci del tutto. I dialoghi risultano tagliati con l’accetta, il ritmo del film è altalenante, mentre il finale risulta abbastanza inverosimile.
Avremmo potuto perdonare tutto questo, se si fosse trattato di una storia vera, dopotutto la difficoltà di molti biopic è proprio nel strutturare e dare ordine alla cronaca per trarne una buona fiction. Ma è qui che sta il problema: questa storia è inventata.
L’intento è nobile e merita quantomeno di essere discusso. Il film vuole prendere atto di un’alleanza tradita, quella tra l’esercito degli Stati Uniti e i numerosi interpreti, consiglieri, abitanti dell’Afghanistan che hanno collaborato con gli stranieri, e che quando gli USA si sono ritirati sono stati ingiustamente abbandonati al loro destino.
The Covenant è una storia di lealtà su uno sfondo storico di debito e di tradimento. I personaggi di Kinley e Ahmed vogliono incarnare i numerosi alleati che sono suggestivamente mostrati in una sequenza di foto durante i titoli di coda. Molti di questi uomini hanno il volto censurato poiché abbandonati in Afghanistan, e ora i talebani danno loro la caccia per punire loro e le loro famiglie del sostegno che hanno dato agli americani. Dei volti invece di cui vediamo gli occhi, non ci è dato di sapere chi si è salvato e chi semplicemente è già morto.
Una storia quindi tematicamente audace e che mette in tavola una responsabilità non indifferente. Purtroppo però il film esagera nella sua messa in scena seguendo canoni un po’ troppo hollywoodiani: il finale è troppo eroico e mitico, distaccandoci dalla realtà, come anche la costruzione psicologica di Kinley e del suo tormento, che risultano a tratti “gonfiati” per fare scena. Ma soprattutto il film sembra indeciso su quale storia raccontare: la storia del dialogo tra due popoli, dove la diffidenza viene appianata e poi ripagata? Una revisione dell’opinione sullo straniero afgano, reinterpretando la parabola del buon samaritano? O una storia americana di senso di colpa, sacrificio e redenzione? Purtroppo The Covenant cerca di raccontarle tutte e tre, e quindi non riesce efficacemente in nessuna.
Messe però da parte queste critiche, il film è girato e interpretato con molta professionalità e la sua premessa è provocante e significativa, in grado di darci un punto di vista nuovo e più umano sulla guerra in Afghanistan.
Alberto Bordin
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