Sullo sfondo della scena musicale di Austin si incrociano le vite di quattro personaggi: la giovane Faye, che vorrebbe diventare una cantante ma soprattutto gustare la vita al massimo; BV, un cantante di talento che ha una dolorosa eredità famigliare e cerca l’autenticità a ogni costo; Cook, il ricco produttore musicale che pensa di poter avere tutto senza ubbidire a nulla; Rhonda, una cameriera che diventerà sua moglie e sarà distrutta da quel rapporto…
È sempre difficile racchiudere in una semplice sinossi le architetture complesse e musicali (qui ancora più che altrove) dei film di Terrence Malick, qui alle prese con un “quadrangolo” amoroso aperto a ulteriori prolungamenti. Gli intrecci sentimentali dei personaggi sono, insieme alla musica stessa, il cuore di un racconto che resta, tuttavia, nella sua essenza, il pellegrinaggio di un’anima alla ricerca di se stessa e del suo compimento.
Un compimento che Faye cerca tra mille esperienze spesso estreme, sia musicali che sentimentali e sessuali, una sete di vita che spesso la porta a sbandare, commettere errori e tradimenti, seguire menzogne anche di fronte all’evidenza dell’amore vero, ma la cui meta ha un nome pronunciato chiaramente, perdono.
Tra riprese che danzano addosso agli attori con amorosa ossessione, monologhi sognanti, che oscillano tra lo sbocco logorroico e passionale e la meditazione filosofica, dialoghi ellittici che suggeriscono situazioni più che spiegarle chiaramente, Song to Song si avvicina paradossalmente più un moral play di stampo biblico che a un film vero e proprio.
La fragile Faye, assetata di vita e di successo, mentitrice eppure sincera, si trova irretita da Cook, una figura quasi satanica, che però non manca di un suo dramma interiore. Predica una libertà assoluta, ma sembra voler possedere le persone che tocca e si ritrova a invidiare profondamente la purezza del sentimento che nasce tra Faye e BV, cercando di rovinarla e poi a sua volta di imitarla irretendo la cameriera Rhonda, finendo per distruggerla, costringendola a esperienze sessuali forzate e umilianti. Il sesso, insieme alla musica (si tratti di quella classica – come di consueto per Malick – ma qui anche di una variegata e sterminata serie di brani che spaziano nei generi più diversi), diventa così una delle chiavi espressive dei personaggi e della loro personale parabola (Faye, tra le altre cose, ha anche una esperienza lesbica).
Tutti i personaggi hanno la stessa fortissima carica simbolica che tuttavia non li spoglia della loro particolare umanità anche grazie alla scelta di interpreti di peso anche per figure di sfondo (come Cate Blanchett, una donna che BV frequenta quando la sua storia con Faye va in crisi).
Il forte radicamento in un modo particolare, quello della scena musicale di Austin (non solo i festival e i palcoscenici, ma anche lo star system che ci gira attorno), che Malick conosce molto bene, impedisce alla vicenda di scadere in una metafora vaga. Alle vite dei protagonisti, infatti, si intrecciano la musica e i volti di tanti protagonisti della scena musicale americana, veri e propri comprimari o veloci apparizioni e solo i più ferrati conoscitori saranno capaci di ritrovare tutti i presenti. Tra tutti Patty Smith, cui è affidato il ruolo di mentore di Faye e che, semplicemente essendo se stessa, si pone come un luminoso punto di confronto per la ragazza confusa.
Lo stile del racconto resta arduo e poco immediato, e chiede allo spettatore la pazienza di lasciarsi raccontate i mille frammenti di un puzzle esistenziale. Pur avendo molti aspetti in comune con la precedente opera di Malick, Knight of Cups, riesce tuttavia a tenere maggiormente il filo della storia (anche se lo spettatore non si deve aspettare di ritrovarvi una trama nel tradizionale senso del termine), pur rimanendo lontano dai vertici della cinematografia di Malick come Tree of Life o La sottile linea rossa.
Laura Cotta Ramosino
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