Il dodicenne Conor vive con la madre, gravemente malata, e a scuola viene costantemente bullizzato. Anche con la nonna, che viene in casa quando la madre si aggrava, i rapporti sono difficili. Poi una notte, poco dopo i dodici rintocchi, un mostro si presenta alla sua finestra. Altri non è che l’albero di tasso che il ragazzino ben conosce che si è così trasformato per raccontargli tre storie e ascoltarne una quarta…
L’ultimo film di Jaun Antonio Bayona (suo The Impossible, storia di una famiglia che “miracolosamente” si ritrova dopo lo tsunami, e l’horror The Orphanage) è una parabola sulla morte, sul dolore, la perdita e la forza necessaria per affrontarli in cui l’elemento fantastico (il mostro-albero che si presenta poco dopo lo scoccare della mezzanotte) funziona come una sorta di seduta di psicoanalisi permanente per il piccolo protagonista, che si ritrova ad affrontare l’evento più traumatico possibile nella vita di un bambino.
Da sempre le storie (e le fiabe in particolare) sono state, per singoli e collettività, il modo per elaborare e trasmettere verità importanti sotto una veste misteriosa e non immediatamente leggibile.
Qui il problema, piuttosto, è che fin da subito le storie, sorta di fiabe postmoderne che giocano a capovolgere o a mettere in discussioni situazioni e personaggi tradizionali (il principe buono che buono non è, la regina cattiva che forse non è la vera cattiva, ecc.) esplicitano fin troppo chiaramente il loro carattere metaforico perdendo in fascino e mistero.
La situazione domestica di Conor (padre emigrato in America con una nuova compagna e figlia, nonna un po’ scorbutica ma evidentemente affezionata, madre moribonda buona e affettuosa) è fin troppo chiara, come fin da subito è evidente l’esito infausto della malattia.
Cosa resta da scoprire e imparare dunque per Conor? Accettare la propria ambiguità verso la dipartita materna e gestire la comprensibile rabbia. Ci interesserebbe forse di più se i personaggi (mostro compreso) facessero qualcosa di diverso dal parlare e sviscerare situazioni un po’ statiche e mostrassero un’evoluzione sorprendente.
Così come è, questo Sette minuti dopo la mezzanotte sembra una espansione incontrollata ed eccessiva della seduta finale di Good Will Hunting (quella che termina con il ripetuto “Non è colpa tua”) con un albero di tasso semovente al posto del professore di Robin Williams.
E così anche quel poco che hanno da dire Bayona e il suo sceneggiatore rispetto alla morte e al modo di affrontarla finisce per esaurire lo spettatore ben prima della fine del film senza riuscire a trasportarlo in una dimensione onirica che valga la pena del viaggio.
Laura Cotta Ramosino
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