La famiglia Tucci non ha un euro, ma a suo modo “sopravvive” felicemente a Torresecca, un paesino sulla Prenestina in cui gli abitanti si conoscono tutti e mantenere un segreto è impossibile. Per questo, quando inaspettatamente vincono un milione di euro, i Tucci si sforzano di continuare a vivere morigeratamente per non destare sospetti nei compaesani, naturalmente predisposti a sguardi indiscreti e a pettegolezzi. A causa di uno spiacevole imprevisto i Tucci vengono scoperti e costretti, loro che non sono mai usciti da Torresecca, a scappare il più lontano possibile. Arrivano, così, a Milano, in “Europa” come dice papà Danilo, e qui ha inizio la loro avventura da ricchi. Ora che non hanno più necessità di nascondersi, i Tucci danno libero sfogo ai propri desideri e si trovano ben presto schiacciati tra la necessità di voler piacere ai loro nuovi amici benestanti milanesi e il bisogno di restare fedeli alla propria identità.
Poveri ma Ricchi è una commedia divertente, remake di un film francese di grande successo, Les Tuche, che racconta l’italianità verace con marcata ironia e (forse questo non piacerà a tutti) con una frequente volgarità verbale molto tipica di un certo popolino romano e di molti personaggi interpretati da Christian De Sica. La risata però è spontanea, genuina e di pancia, determinata dall’armonico incontro tra storia, ritmo delle situazioni, battute e personaggi.
Il motore propulsore di questi ingredienti è il “contrasto”, dichiarato fin dal titolo. I Tucci, infatti, sono poveri, ma possiedono una ricchezza invidiabile: l’amore che li unisce attorno alla propria famiglia e uno spensierato ottimismo che permette loro di trascorre con allegria la vita a Torresecca.
I Tucci stessi sono un contrasto evidente. Fieri di abitare a sud di Roma e orgogliosi del loro accento un po’ cafone, i Tucci si spaccano in due. Nonna Nicoletta, secca e burina, è innamorata di Gabriel Garko; papà Danilo, anni Ottanta nell’aspetto, di lavoro intreccia mozzarelle; mamma Loredana, casalinga fissata con l’igiene, è un giusto compromesso tra la dolcezza materna e la cafonaggine del posto; Tamara, la figlia maggiore, fa la cassiera e parla come se scrivesse su un social network. Poi arriva la parte “diversa” della famiglia. Lo zio Maurizio, agronomo, si diletta nello sperimentare strani innesti, mentre Kevi (si sono dimenticati la n finale all’anagrafe), che è solo un bambino, è molto colto, è educato ed è il grillo parlante della famiglia. Se non ci fosse stato lui, probabilmente i Tucci avrebbero fatto una pessima fine.
La vincita milionaria, infatti, irrompe nella loro quotidianità portando, in primis, la necessità di imparare a gestire il salto tra la condizione economica precedente e quella successiva alla Lotteria. I Tucci, però, non si curano di questo, ma trasferendosi a Milano sono ancor di più assorbiti dalla voglia di vivere come dei signori e dalla necessità di integrarsi con i nuovi amici ricchi milanesi.
Il contrasto tra piccolo paese e metropoli è enfatizzato anche dalla presa in giro che sottilmente il regista rivolge a Milano e ai ricchi contemporanei. Ricchi che non ostentano e che hanno assunto un nuovo vocabolario di abitudini più snob di quello sfacciato e sporco dei Tucci, “gente di campagna” arricchitasi in qualche modo. Il tentativo di vivere una vita non propria e di essere accettati è vano e deleterio perché rischia di cancellare la natura di questa famiglia un po’ bizzarra e di dividerla al suo interno.
Gli autori, per fortuna, nel finale trovano un espediente che mette i Tucci al riparo da brutte sorprese e preserva il loro essere così spensierati, sorridenti e genuini. Con un chiaro intento moralizzatore per il pubblico. Così tanti soldi, come in questo caso, devono servire soltanto a vivere meglio la propria realtà.
Maria Luisa Bellucci
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