In una gotica Londra vittoriana il bizzarro chirurgo Godwin Baxter trova il cadavere di Victoria, una donna incinta che si è gettata nel Tamigi, e lo riporta in vita, impiantando nella madre il cervello del bambino che portava in grembo. Il dottore affida poi a uno dei suoi allievi, Max McCandels, l’osservazione dei progressi di Bella Baxter, la donna rediviva che tratta come una figlia. L’esperimento supera le previsioni di Godwin e Bella intraprende un percorso tutto personale che la porterà molto lontano nella scoperta di se stessa e del mondo.
Fa un certo effetto faticare a trovare un posto e infine trovarsi pigiati in una sala sold out per vedere il nuovo film di Yorgos Lanthimos, il regista greco del disturbante e controverso Dogtooth, dello sferzante Lobster, dell’onirico Il sacrificio del cervo sacro.
Quando si esce dalla visione però il successo quasi mainstream di Povere creature! trova qualche risposta. Il regista “maledetto”, abituato a fustigare il suo pubblico, ha deciso stavolta di accarezzarlo e si è concesso (facendo tutti i dovuti distinguo) il suo personalissimo Barbie, un film dalla confezione sontuosa, dall’ironia godibile e dalla trama e dal messaggio semplici (quando non semplificati). Ma, soprattutto, dai temi ammiccanti allo spirito del tempo.
Non che manchino scene disturbanti e trasgressive, ma Povere creature! scorre per lo più frizzante e godibile come una fiaba gotica o l’adattamento di una graphic novel steampunk.
Il regista libera il suo talento comico, presente sottotraccia anche in The Lobster e in altri film più cupi, realizzando una commedia favolistica dal buon ritmo e dall’estetica impeccabile, lontana però dalla profondità del cinema di autore che ci si aspetta, forse non sempre a ragione, da registi come Lanthimos.
Bella, interpretata da un’indimenticabile Emma Stone, è protagonista delle vignette di un romanzo di formazione che si sceglie, molto comodamente, di incentrare sulla scoperta del sesso e sull’emancipazione femminile. Temi che sembrano oggi garantire un immediato successo.
Peccato che la premessa, un cervello di neonato lanciato alla scoperta del mondo attraverso il corpo di un’adulta, fosse carica di incredibili domande filosofiche: lo scontro tra la natura e la cultura di Lévi-Strauss, il buon selvaggio di Rousseau, l’”anima semplicetta, che non sa nulla” di Dante e così via. Per non parlare degli infiniti quesiti sui limiti della scienza posti dal visionario personaggio di Godwin, interpretato con perizia da Willem Dafoe, condannato a una vita di patimenti dagli esperimenti paterni sul suo corpo.
Lanthimos sceglie di giocare tutta questa ricchezza allontanandosi dalla riflessione sul sociale (dimensione stilizzata nella rigidità vittoriana) e limitandosi a un percorso individuale con improbabile happy end narrato nei toni della commedia grottesca.
La scelta di pigiare il pedale sul filone dell’emancipazione sessuale relega ai margini temi abissali come la scoperta del male e dell’ingiustizia nel mondo, la domanda su Dio, il valore della libertà, il ruolo della scienza, tutti spunti che, come pennellate, compongono un affresco barocco in cui non c’è spazio per approfondire. E, proprio come per il barocco, la legge dominante di Povere creature! è la meraviglia, un principio che regola il magnifico lavoro di scenografi e costumisti e che regala un piacere per gli occhi. La confezione lussureggiante traduce perfettamente il vitalismo sfrenato che anima Bella e la sua parabola di vita. Tutti i reparti, in questo senso, rispondono come in un’orchestra a un unico direttore, dimostrando una sinfonica unità di visione.
Ciò che manca è la profondità, appena accennata dalle domande che si rincorrono nel film, e poi lasciata cadere come una pioggia di glitter a illuminare un affresco tanto accattivante (almeno per chi è più sensibile all’estetica di superficie) quanto superficiale. Una mancanza non da poco per un film che si arroga la missione, attraverso le parole di una mentore-maitresse, di magnificare la vita nei suoi abissi di male e splendore.
Eleonora Recalcati
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