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Perfect Days


TITOLO ORIGINALE: Perfect Days
REGISTA: Wim Wenders
SCENEGGIATORE: Wim Wenders e Takuma Takasaki
PAESE: Giappone, Germania
ANNO: 2023
DURATA: 123'
ATTORI: Kōji Yakusho e Tokio Emoto
SCENE SENSIBILI: nessuna
1 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 51 vote, average: 4,00 out of 5

Hirayama è un uomo di mezza età, addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo, umile compito che svolge con meticolosità, in una solitudine mai mesta. Di rare parole, ma attento a chiunque incontri, non rinuncia a piccoli piaceri quotidiani come ascoltare vecchie audiocassette andando al lavoro sul suo minivan (Rolling Stones, Patti Smith o Lou Reed), curare le piante della piccola casa in cui vive, leggere i suoi autori preferiti prima di addormentarsi e scattare fotografie, utilizzando ancora la pellicola. La routine che lo caratterizza capiamo che nasconde un dolore nel passato, ma, invece di essere una fuga, lo abilita ad accogliere una novità inaspettata.

La difficoltà di decifrare una storia fin troppo semplice

Dopo aver vinto a Cannes il premio per il miglior attore grazie alla superba interpretazione dell’esperto Kōji Yakusho e candidata all’Oscar per il Giappone come miglior film straniero, l’ultima opera di Wim Wenders ha suscitato entusiasmo pressoché unanime da parte della critica, eppure si tratta di un film che, paradossalmente, proprio per la sua estrema semplicità, chiede un notevole impegno ed un’attenzione ai dettagli a cui oggi lo spettatore medio, soprattutto occidentale, è sempre meno abituato. Il grande cineasta tedesco – che ha anche cosceneggiato il film e lo ha girato nel tempo record di sedici giorni – ci offre un tributo all’amata cultura nipponica e una lezione di cinema in cui a parlare sono prima di tutto le immagini (e in second’ordine i tanti brani che compongono la colonna sonora), mentre i dialoghi sono ridotti all’essenziale. Soprattutto il protagonista spesso non dà risposte ai suoi, più o meno occasionali, interlocutori, ma offre loro sguardi ed espressioni la cui eloquenza non necessita di parole. La minuzia documentaristica dell’ampio repertorio di Wenders è al servizio di un racconto essenziale in cui, all’indomani della pandemia, nell’avveniristica metropoli di Tokyo, con le sue torri luccicanti, il protagonista, vive in una dimensione intima, “analogica” (le audiocassette e la pellicola), fatta di semplicissimi gesti sempre uguali, eppure aperta alla meraviglia che nasce dall’alzare ogni mattina lo sguardo verso il riflesso del sole fra le fronde degli alberi.

Dietro la parvenza della noia, la potenzialità di agire per il bene altrui

Il giovane e svogliato collega di Hirayama non capisce il suo perfezionismo in quel mestiere così ingrato e anche noi quasi ci imbarazziamo nel vederlo far luccicare le diverse toilette sparse per la città (per altro invidiabili esempi di design urbano) e lasciar passare con pudore gli avventori frettolosi che interrompono il suo lavoro. Eppure è in quella dignità nel compiere un servizio per il bene comune che il protagonista acquista i tratti di un eroe del quotidiano che, come premio per la sua solerzia, assume statura morale e profonda pace interiore. Sono le virtù che il protagonista non ostenta, ma che gli altri inevitabilmente gli riconoscono: dalla nipote che fugge da lui dopo aver discusso con la madre e si appassiona alle sue letture, ai ristoratori che lo accolgono con calore, fino alla ragazza che si siede al parco vicino a lui durante una pausa. Pur privo della famiglia che affiancava il personaggio di Calvino, Hirayama ricorda lo stupore e l’innocenza di Marcovaldo, un’innocenza che intuiamo è stata conquistata probabilmente a caro prezzo – c’è un padre malato a cui non si sente di far visita – ma che mette il protagonista nelle condizioni di accogliere l’estrema richiesta d’amore di una persona appena conosciuta che sa di aver poco da vivere: prendersi cura della sua ex moglie, pur non avendo nessun legame con lei. Il sorriso di Hirayama al volante del suo minivan prima dei titoli di coda, ci induce a credere che farà quanto gli è stato chiesto. Cogliere l’attimo, infatti, lungi dall’essere egoistica evasione è per il protagonista una responsabilità, fedele ad un monito che gli abbiamo sentito canticchiare: “un’altra volta è un’altra volta, adesso è adesso”.

Giovanni Capetta

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