Nora è una giovane scrittrice e sceneggiatrice canadese di origine coreana, che vive a New York con il marito e collega americano, Arthur. La sua vita viene sconvolta dall’arrivo nella grande mela di Hae Sung, il primo grande amore di Nora a Seoul. Sono passati ben ventiquattro anni da quando Na Young (così si chiamava allora) ha lasciato la Corea del Sud appena dodicenne con i genitori, ma il sentimento di affetto che la lega a quel ragazzo è ancora incredibilmente forte…
La regista Celine Song mette in scena nel suo film d’esordio una storia d’amore decisamente originale, nelle modalità in cui è affrontata, che ha fatto incetta di candidature anche ai Golden Globe e agli Oscar (tra cui quella importantissima come migliore film).
La trama si articola su tre livelli temporali, disposti in ordine cronologico ed equidistanti tra loro (dodici anni tra ogni passaggio) che raccontano tre distinte fasi della vita e del percorso di maturazione dei personaggi: l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta.
Questa struttura tripartita conferisce al film un afflato esistenziale che pone interessanti domande sul senso della vita e dell’amore, tra fatalismo e spiritualità: il fil rouge che lega tutta la sceneggiatura è infatti una parola coreana, lo in yun, che deriva dal buddismo e fa riferimento ad un legame provvidenziale tra persone diverse in vite diverse.
L’incontro in età matura dei due protagonisti, quando la donna è ormai sposata da anni e radicata stabilmente nel contesto newyorkese, sembra infatti arrivare fuori tempo massimo, quando la loro storia è già scritta, dopo che in una fase intermedia e ancora immatura del loro percorso i due si erano di nuovo incontrati, seppur solo per via telematica. In questo importante passaggio narrativo (che indirizza decisamente il film) Nora e Hae Song, così distanti nei progetti e nella visione del mondo prima che geograficamente, hanno realizzato – complici anche le rispettive paure, un po’ di orgoglio e una forma adolescenziale di egoismo – che non sono fatti l’uno per l’altro e che le loro strade non sono destinate ad intrecciarsi.
Nonostante ciò i due, quasi inspiegabilmente, scelgono di rivedersi dodici anni più tardi. Sembra la premessa per una seconda metà del film dai toni melodrammatici (ma effettivamente sarebbe stato molto scontato) con prevedibile fuga d’amore finale e invece a sorpresa, per paradosso, la scelta della regista è totalmente opposta. Quando la situazione che si viene a creare, misteriosamente assurda e sbagliata, esigerebbe una scelta, affinché l’inerzia della vicenda cambi in qualche modo direzione, la trama invece prosegue in modo estremamente lineare, senza colpi di scena né sconvolgenti svolte narrative, e questo a parere di chi scrive è proprio l’aspetto più convincente ed originale.
La capacità del film di raccontare gli stati d’animo e il turbamento interiore dei due protagonisti legati da questo sentimento di affetto così profondo ma anche un po’ infantile – e forse anche per questo purissimo – non sminuisce, anzi valorizza le scelte della protagonista e sembra un invito ad una certa forma di discernimento, più maturo, soprattutto nel dare nomi diversi a cose, situazioni e sentimenti diversi. Il finale dolceamaro è il culmine di un percorso di maturazione, un inno alla vita che è bella, quando è complicata e anche quando non lo è affatto.
Gabriele Cheli
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