La vita di Parthenope Di Sangro, nata nel 1950 nelle acque di Posillipo e tornata nella sua città, all’indomani della pensione da professoressa di antropologia nel 2023. Dal triangolo post-adolescenziale con Sandrino e Raimondo (il fratello incestuosamente invaghito di lei), fino alla vita adulta: oltre 70 anni fra le bellezze e le bassezze della città vesuviana, attraverso lo sguardo appassionato di una donna che con il corpo e l’intelligenza guarda la sua città come in uno specchio.
Se in È stata la mano di Dio Sorrentino metteva in campo tutta la sua passione per la città natale, in Parthenope il regista e sceneggiatore indaga con gli occhi della sua protagonista una Napoli che sfugge ad ogni possibilità di essere decifrata, se non nella chiave paradossale della disillusione. Essa è bellissima nella solarità del mare di Capri, come la gioventù lasciva e apparentemente senza pensieri, ma, nello stesso tempo, è ingannatrice e tragica fino al gesto estremo di Raimondo, il fratello di Parthenope. Tutti i personaggi che la giovane donna incontra sono facce dell’eccentrico poliedro napoletano che ne evidenziano la natura misteriosa e grottesca. Sono i primi amanti fra il lusso luccicante delle sue origini alto-borghesi e chi le mostra l’oscenità delle famiglie camorriste dei bassifondi; lo scrittore americano John Cheever, vittima dell’alcol e della solitudine e l’anziana attrice Greta Cool che declama icasticamente tutti i presunti vizi partenopei. Come Napoli, Parthenope è di una bellezza abbacinante, intelligente, con la risposta sempre pronta; è animata da un desiderio ardente di aggredire la vita, ma non riesce ad amare pienamente e appare destinata a lasciare insoddisfatto chi le si accosta. Sondato il mondo della recitazione e scelta poi la via della ricerca universitaria, per Parthenope perfino il miracolo di San Gennaro – avvicinato attraverso la figura blasfema dell’arcivescovo, il cardinal Tesorone (nome evocativo di avidità e lussuria) al quale la protagonista si concede – è un fenomeno di isteria collettiva, strumentalizzato da un cattolicesimo privo di ogni autenticità.
Quanto più sono callidamente ricercate ed impeccabili le immagini del racconto, tanto più sembra che Sorrentino voglia indurre il pubblico a rassegnarsi a non poter andare oltre all’apparenza. Anche la sua protagonista – il cui nome significherebbe “vergine”, ossia pura e integra – è una ricercatrice del bello e del vero, ma li esperisce solo per negazione. Sperimenta che il suo desiderio non viene appagato dalla consumazione erotica, si scontra con la finzione del mondo dello spettacolo, sceglie di abortire (e non diventerà mai madre) e la dimensione della fede è per lei ridotta ad un incontro volgare e sacrilego con un alto prelato più laido di un boss mafioso. Cosa, dunque, ci è concesso vedere? Forse possiamo vedere solo con gli occhi dell’amore disinteressato, quello che il mentore, professor Marotta, propone alla sua studentessa preferita. Intrepretato da un Silvio Orlando sempre in parte, il docente di antropologia afferma che “vedere” è l’essenza della sua disciplina e svela a Parthenope, una volta ritenutala all’altezza, il suo amore per un figlio tanto mostruoso quanto innocente.
L’ultima opera del cineasta napoletano è una nuova prova del suo talento visionario; in questa occasione, però, Sorrentino nel voler appagare l’aspettativa dello spettatore, quasi lo disorienta, lasciandolo abbacinato da uno susseguirsi di immagini, frasi sentenziose ed emozioni, ma senza spazio per l’immedesimazione. Ciò detto, resta una indubbia capacità di valorizzare con maestria sia giovani attori come Celeste Dalla Porta e Dario Aita, sia interpreti affermati come Gary Oldman o caratteristi quali Peppe Lanzetta.
Giovanni M. Capetta
Tag: 2 Stelle, Drammatico, Fantastico, Film Italiani