Ellen Martin perde il marito in un incidente sul lago George. Partendo dalla truffa dell’assicurazione della compagnia coinvolta, la donna comincia a cogliere tutte le implicazioni di un sistema molto più vasto, che coinvolge grandi studi legali, compagnie e delinquenti, tutti determinati a sfruttare le ambiguità della legge per evadere tasse e accumulare denaro attraverso società di comodo in paradisi fiscali. È lo scandalo denominato Panama Papers, emerso nel 2016 attraverso una fuga di documenti riservati che il film illustra attraverso la vicenda fittizia di Ellen e la paradossale “versione dei colpevoli”.
Nel solco, quantomeno a livello linguistico, del brillante Il grande imbroglio, il film di Steven Soderbergh (non a caso scritto da quello stesso Scott Z. Burns autore di The Report) sceglie la strada del discorso metacinematografico per illustrare al suo pubblico la complessa dinamica legal-finanziario-politica dietro lo scandalo dei Panama Papers, costola del più noto scandalo Wikileaks.
Una costruzione teatrale che esibisce con cambi di scena costume e tono il suo essere cinema di denuncia, cercando al contempo di restare godibile e “leggera” per attirare il grande pubblico anche grazie al suo cast stellare.
Ecco quindi che a narrare il film sono due personaggi onniscienti e ambigui (interpretati con convinta ed efficace gigioneria da Gary Oldman e Antonio Banderas), gli avvocati di uno degli studi legali dietro alle complicate reti di false società che proteggevano gli interessi di uomini d’affari senza scrupoli, narcotrafficanti, uomini politici corrotti e così via. Sono loro a narrare, in capitoli e a partire da una preistoria che ammicca alla celebre scena di Stanley Kubrik, le tortuose vie del denaro e del credito, loro a dipanare i fili di un imbroglio enorme in cui Ellen si trova coinvolta come vittima inconsapevole.
Vittima che però non vuole restare tale e si mette così testardamente a indagare, conducendo anche gli spettatori a sfiorare le vite dei vari intermediari coinvolti nel grande marchingegno, chiedendo con determinazione che qualcuno faccia qualcosa.
A mettere insieme i pezzi mancanti sono in realtà proprio i nostri narratori inaffidabili ma affascinanti, sempre impegnati a scusare le loro manovre e a distribuire le responsabilità mentre a poco a poco i nodi vengono al pettine.
Mentre la costruzione intelligente e colorata di Burs e Soderbergh rischia a tratti di esasperare un po’ il pubblico che tenta di intrattenere mentre “spiega” i meandri dei vari imbrogli, il personaggio di Maryl Streep ha il merito di tenere ancorato alla realtà e al cuore dello spettatore l’impatto umano di manovre illegali che altrimenti potrebbero restare solo equilibrismi lontani, quanto meno nella percezione del pubblico, dalla realtà dei più, dal momento che gli altri personaggi coinvolti sono tutti chiaramente sopra le righe.
Resta il fatto che il film, soprattutto nell’ultima parte, tende a compiacersi un po’ troppo rischiando di diventare un pamphlet meno coinvolgente di quanto potrebbe.
Scegliere un film 2020
Tag: 4 stelle, Commedia, Denuncia sociale