Sulla piccola isola di Porto Buio non nascono più bambini. Il problema, oltre che demografico, è contingente: manca poco al Natale e non ci sono neonati per rappresentare Gesù Bambino nel tradizionale presepe vivente del paese. Ecco così che Cecco, neo-sindaco, vincendo le proteste di suor Marta, chiede alla comunità islamica dell’isola di “prestar” loro un bambino per l’importante ruolo. I concittadini arabi, rappresentati da Badil, italiano convertito all’Islam e vecchia conoscenza tanto di Cecco quanto di Suor Marta, accettano, ma dettano le proprie condizioni…
Il nuovo film di Miniero, sotto il velo della commedia, si propone di affrontare temi importanti per il nostro Paese, quali l’invecchiamento demografico della popolazione italiana – il cui ricambio generazionale è assicurato soprattutto grazie ai figli degli immigrati –, la difficile convivenza tra religioni differenti, e la conservazione delle tradizioni e delle radici culturali cristiane nel complesso panorama contemporaneo, globalizzato e multiculturale.
Il film di Miniero si pone sul solco di Benvenuti al Sud, con la classica rappresentazione dell’incontro-scontro tra opposte mentalità e stili di vita, da cui dovrebbe scaturire la commedia. Eppure, rispetto al film ambientato a Castellabate, Non c’è più religione strappa solo qualche sorriso, ma poche risate. Il film, purtroppo, pur nella critica filtrata dall’ironia, non riesce a far riflettere in modo intelligente sui temi che si propone di affrontare. La pellicola di Miniero si prende gioco dell’ipocrisia religiosa, sia islamica sia cattolica. Nel primo caso, a rappresentare la comunità islamica di Porto Buio è Badil, che sembra utilizzare la propria appartenenza religiosa più come rivalsa verso i suoi ex amici Cecco e Marta, colpevoli di averlo ferito in passato. Badil si vanta di non dover chiedere mai il parere alla propria moglie perché “noi arabi non chiediamo mai alla moglie se è d’accordo”, dimostrando così una chiara confusione tra “arabi” e “musulmani” (lui non è arabo, ma è musulmano) e, in generale, un’adesione molto superficiale alla propria fede. Della Chiesa Cattolica, invece, si attacca, velatamente, l’eccessiva apertura a temi scottanti contemporanei. Ecco così che, alla domanda relativa al presepe “Giuseppe e Maria sono ancora un uomo e una donna?”, il segretario del vescovo risponde di sì, ma che si intravede un’apertura… lasciando intendere che in futuro le cose potrebbero cambiare. La religione, insomma, viene rappresentata, da entrambi i lati, in modo macchiettistico e caricaturale. Da una parte, i cattolici del paese rivendicano l’italianità di Gesù pur di non coinvolgere i concittadini islamici; dall’altra il sindaco si fa rappresentante di una mentalità molto “politicamente corretta” che punta a eliminare tutto ciò che può offendere ipoteticamente la sensibilità religiosa e culturale dell’altro, in nome di un rispetto che, se realmente tale, dovrebbe invece tollerare la libertà altrui senza “pretese”.
Gli stereotipi puntano a strappare qualche risata, ma il film rimane davvero troppo in superficie, a differenza di altre commedie del genere come, per esempio, il film francese del 2014 Non sposate le mie figlie.
Infine, la storia di sfondo che riguarda la vecchia amicizia fra i tre personaggi principali (Cecco, Badil e suor Marta) risulta piuttosto improbabile e poco credibile, rivelando, tra gli altri aspetti, una certa mancanza di coerenza interna.
Eleonora Fornasari
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