Dopo la cattura del super criminale Ernst Stavro Blofeld e la sconfitta dell’organizzazione segreta SPECTRE, James Bond si ritira dal lavoro. Cinque anni dopo però il mondo è minacciato da Lyutsifer Satin, un criminale nemico della SPECTRE che si impossessa di un super agente patogeno: Heracles. Bond dovrà tornare un’ultima volta in azione e fare i conti con l’MI6, con una nuova agente 007, e con il suo recente amore tradito: Madeleine Swann.
Licenza di uccidere, il primo film di James Bond adattato dai romanzi di Ian Fleming, venne proiettato in sala nell’ormai lontano 1962. Dopo i suoi cinque predecessori, anche Daniel Craig giunge alla fine del suo mandato di agente segreto, con ben cinque titoli nel curriculum.
Se altri franchise prolungati nel tempo sanno mostrare solo vecchiume e sfinimento – primo tra tutti viene in mente Fast & Furious con i suoi nove titoli, uno spin-off e altri due titoli in produzione – la MGM garantisce per ogni nuovo titolo di James Bond un prodotto di qualità al passo coi tempi, sia in scrittura, sia in tecnica o in casting. Indicativo è stato che proprio questo lungo capitolo con Daniel Craig fosse un completo reboot della saga.
Potenti e avvincenti scene d’azione, sorprendenti effetti speciali che valgono al film una meritata candidatura agli Oscar, e la sempre raffinata presenza di Bond sullo schermo, interpretata con gravità ed eleganza da Craig.
Purtroppo le lodi si concludono qui. Il film regge e intrattiene, e siamo sempre con scene di azione di altissima qualità, come da tradizione, ma nell’insieme il film non dà allo spettatore la soddisfazione sperata, specie per una saga che si conclude.
Sebbene fosse solo al terzo titolo, l’avventura di Daniel Craig avrebbe meritato di terminare con il prezioso Skyfall, magistralmente diretto da Sam Mendes. Non solo la regia, ma anche la colonna sonora, un cattivo affascinante e, più di tutto, una grande storia in grado di smuovere l’audience; per tutti questi elementi il terzo capitolo è stato il degno finale che i produttori non hanno saputo riconoscere.
Il racconto invece è proseguito nell’insoddisfacente Spectre che ha in buona misura deluso sia i fan che la critica. E tenta ora di riparare con un’uscita a effetto che però ha molto di sentimentale e poco di emotivo.
Il punto più debole è indubbiamente il “cattivo”, il villain. Non solo debole nelle sue intenzioni, che rimangono piuttosto oscure e poco convincenti, così come in alcune azioni nel finale a tratti incomprensibili. Ma è la sua estraneità a Bond a infliggere il colpo più basso al conflitto. Safin è in tutto e per tutto la nemesi di Madeleine, non di Bond. E Madeleine è un altro personaggio che produce poca chimica con la spia inglese.
Ultimo punto interrogativo rimane sul futuro della saga. Si è a lungo discusso di un Bond al femminile, specie di colore. Il pubblico non aveva risposto bene alla suggestione, e anche i produttori avevano tentato di tenersi lontani da influenze d’ideologia woke.
La discussione riparte con toni meno accesi con l’introduzione di Nomi, la nuova agente 007 che ha dovuto sostituire James Bond nei suoi cinque anni in pensione. Purtroppo nemmeno l’intervento di Phoebe Waller-Bridge, la scrittrice più in voga al momento per i character femminili, ha saputo dare al personaggio la verve necessaria per affezionarcisi. Niente infamia e niente lode; rimane però sorprendente che in pochi minuti questo personaggio sia stato adombrato dalla ben più simpatica Paloma (una sensuale Ana De Armas).
Di sicuro ormai 007 si è circondato di sufficienti figure femminili da controbilanciare un eventuale eccesso di testosterone. In che direzione proseguirà la serie rimane una domanda che il pubblico si pone con tiepida curiosità.
Alberto Bordin
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