In Spagna per girare uno spot televisivo legato al soggetto di Don Chisciotte, il cinico e annoiato regista hollywoodiano Toby Grisoni (quasi omonimo del co-sceneggiatore del film vero), è più preoccupato di portarsi a letto la moglie del suo produttore che di finire il lavoro. Una sera, durante una cena con i membri della troupe, acquista da un gitano la copia piratata del suo film d’esordio, un’opera studentesca sperimentale – e ai tempi molto apprezzata – sempre ispirata al capolavoro di Cervantes. Riguardando il suo vecchio film, Toby capisce di doverne rivisitare la location, un villaggio spagnolo poco distante dal set dove lavora, per ricongiungersi con la forza creativa della giovinezza. Una volta sul luogo, fa i conti con il cattivo ricordo che ha lasciato, con le speranze deluse dei paesani toccati e poi abbandonati dal sogno del cinema, e soprattutto con il protagonista ormai rimbambito del suo film, convinto di essere il vero Don Chisciotte della Mancia.
Chi la dura la vince. È questo il tema de L’uomo che uccise Don Chisciotte, progetto a cui Terry Gilliam ha iniziato a lavorare trent’anni fa e che ha lasciato sul campo più di una produzione abortita per colpa, di volta in volta, di condizioni climatiche avverse, retromarcia dei finanziatori, la morte improvvisa degli attori che avrebbero dovuto interpretare l’eroe eponimo, e altre catastrofi. Tutto era sembrato remare contro per impedire al visionario cineasta di portare a termine il suo sogno (molte delle “calamità” sono raccontate nell’istruttivo documentario Lost in La Mancha del 2002, una lezione sulle utopie del cinema). Il dato più rilevante di questo film, quindi, è che finalmente sia stato portato a termine e, tutto sommato, per i cinefili che ne conoscevano tutte le traversie produttive, vederlo o meno non fa molta differenza. Ai fan del regista, comunque, piacerà moltissimo.
Don Chisciotte è un personaggio che, anche solo per meriti letterari, rimanda a una tradizione che parla di sogni irrealizzabili ed epici fallimenti e tra i cineasti che si sono cimentati con l’adattamento dell’opera, dovendovi poi rinunciare, c’è anche il grande Orson Welles. Bravo Terry Gilliam per non essersi fatto travolgere dalla “maledizione” di questa consuetudine negativa e aver completato il film di cui la trama, come si capirà, è il tratto meno importante.
L’uomo che uccise Don Chisciotte è un film sui “sogni perduti” del cinema; sulla sproporzione tra gli ideali della giovinezza e i compromessi dell’età adulta; un pastiche divertito ma romantico, sospeso tra realtà e immaginazione, in cui lo spettatore è chiamato a perdersi insieme ai personaggi. Accusando le nefandezze dei nuovi oligarchi economici – rappresentati nel film da un magnate russo che fa il bello e il cattivo tempo con gli “schiavi” di cui controlla le vite –, vuole portare avanti la battaglia della purezza contro le brutture del mondo. Una battaglia incarnata dallo “spirito” del Don Chisciotte, alto ideale da trasmettersi da un uomo all’altro, da una generazione all’altra, perché sempre rimanga desto. L’unica alternativa al non barattare la propria libertà e il proprio onore – sembra mostrare il film, in una morale un po’ inconclusiva – è perdere il senno e continuare a lottare contro i mulini a vento. Almeno la dignità è salva. D’altra parte, come poetava Carducci, «tu solo, o ideal, sei vero».
Sarebbe però ingeneroso nei confronti di Terry Gilliam trovare una “morale” in questa picaresca avventura che alla fine, comunque, attesta che l’anima di un capolavoro della letteratura può sopravvivere davvero a tutto.
Scegliere un film 2019
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