Dalla capitale del Buthan il neo-maestro Ugyen è inviato a Lunana: un villaggio di poche anime isolato a 4800 metri. Lui che vorrebbe fare il cantante in Australia compie l’impervio percorso a piedi come un supplizio, all’apice del quale c’è l’obbligata rinuncia all’inseparabile smartphone, ormai scarico. Gli abitanti e i bambini lo accolgono festosi, ma la scuola è una catapecchia senza neanche una lavagna e tutto per lui è disagevole. Vorrebbe tornare subito in città, ma, progressivamente, la sete entusiasta di conoscenza dei suoi alunni fa maturare in lui la responsabilità che rifuggiva e una passione per il suo Paese che gli resterà nel cuore.
Chi l’avrebbe detto che un piccolo film buthanese potesse rappresentarci in modo così limpido e poetico un conflitto che vivono milioni di giovani nel mondo, fra fame di avvenire e legame con le tradizioni? Ugyen è tutti loro, anche se il suo è un dilemma dai tratti estremi, che ci fa viaggiare attraverso territori quasi inesplorati del pianeta: desidera l’Occidente e invece è condotto in un villaggio alla fine del mondo. Emblematici sono i giorni del suo viaggio per arrivare a destinazione in cui, nonostante gli incoraggiamenti della guida Michen, Ugyen è vittima della fatica, del freddo, del cibo anomalo e cerca di contrastare i suoni che lo attorniano con la musica delle sue cuffie. Arrivato a Lunana, gli abitanti lo attendono con trepidazione, ma tutto gli appare povero, squallido e senza senso: l’aula è fatiscente, mancano dei banchi che si possano chiamare tali, per scaldare l’ambiente gli viene consigliato di tenere uno yak in classe! Dopo i primi giorni, però, a prevalere nel cuore di Ugyen sono i volti e i sorrisi delle persone. Primo fra tutti quello della piccola capoclasse Pem Zam e degli altri alunni, poi quello desiderabile e puro di Sandon, che dalla collina canta melodiosamente per ringraziare il Cielo per tutti i doni del mondo creato e per la serenità del suo villaggio. Il primo desiderio di ritornare a casa cede lentamente il passo alla scoperta del valore delle piccole cose che dava per scontate, come una lavagna per scrivere, poter distribuire dei fogli di carta, o cantare insieme all’aperto. Ugyen diventa maestro attraverso il maieutico desiderio dei suoi alunni di imparare e in questo modo è lui ad apprendere la lezione più importante.
È nella semplice ma profonda definizione di chi sia un maestro il messaggio che questo film offre al pubblico con sincerità disarmante. Chi insegna “tocca il futuro” perché con la trasmissione del sapere passa il testimone alle nuove generazioni e perpetua nel tempo i valori di una civiltà. Lo dice per la prima volta un alunno che vorrebbe fare quel mestiere da grande, ma lo ripetono anche gli adulti. Per questo il capo villaggio vede in Ugyen e nei suoi successi con i ragazzi una grande benedizione e lo indica simbolicamente come lo Yak – animale fondamentale per la sussistenza del villaggio – che sempre ritorna perché sa quale sia il suo ruolo per la comunità. Quel giovane di città, inesperto e riottoso, strafottente verso le istituzioni e poco disponibile a preoccuparsi per la nonna, messo alla prova, nelle condizioni più estreme, ha maturato una generosità mai conosciuta prima e ha assaporato il gusto della riconoscenza. Nonostante ciò, è ammirabile la disponibilità con cui tutti, pur addolorati, lasciano libero Ugyen di tornare a casa. Anche Sandon con cui si è creata un’intima e casta intesa, non ricatta l’uomo di cui si è innamorata, gli offre solo la sua attesa e il desiderio che un giorno possa tornare. Quando in un locale di Sydney Ugyen, colto da insoddisfazione e malinconia, sconcerta i distratti avventori intonando il canto tradizionale imparato a Lunana, capiamo dov’è rimasto il suo cuore e che probabilmente là ritornerà con una consapevolezza del tutto nuova.
Giovanni M. Capetta
Tag: 4 stelle, Drammatico, Plauso della critica