A Pietrammare, in Sicilia, è tempo di elezioni: la sfida è tra il sindaco uscente Gaetano Patanè e Pierpaolo Natoli, un professore dalle idee rivoluzionarie. Salvo e Valentino, entrambi cognati di Natoli, in campagna elettorale si ritrovano però su fronti opposti: mentre Valentino sostiene il fratello della moglie, Salvo invece supporta Patanè, dato per vincente nei sondaggi. Entrambi sperano di poter chiedere al futuro vincitore un “favore” personale: la costruzione di un gazebo invernale per il loro chiosco estivo. A vincere alla fine è il volto nuovo Natoli, che inizia a realizzare, uno a uno, tutti i punti del suo programma elettorale, scatenando l’indignazione dei suoi concittadini (cognati compresi), non abituati a vivere secondo le regole e nell’onestà…
L’ora legale è un film corale, a cui hanno preso parte oltre cento attori. Tra questi, i protagonisti sono ancora una volta Ficarra e Picone, “fissi” nei loro ruoli tradizionali: Salvo è furbo, scaltro e poco incline al lavoro onesto; Valentino è timido, pacato e restio al conflitto. La loro comicità si gioca come sempre sul filo dell’esagerazione che però, in questo caso, è particolarmente funzionale a evidenziare l’assurdità della situazione descritta. Sottotono e decisamente priva di energia e carisma, invece, l’interpretazione di Vincenzo Amato nel ruolo di Natoli.
Il film si gioca sulla contrapposizione tra Pietrammare sotto “l’era Patanè” e la “nuova” Pietrammare di Natoli. Sotto Patanè, sindaco uscente, Pietrammare si presenta come una città malgovernata, inquinata, trafficata; è il regno degli appalti pilotati, delle tangenti, delle costruzioni abusive. Sotto Natoli, invece, uomo integerrimo, amato dai propri studenti e vero e proprio modello d’onestà per la figlia Betti, iniziano a moltiplicarsi multe, tasse sui rifiuti e cassonetti per la raccolta differenziata. Chi sperava di riattivare anche con il neosindaco il tradizionale giro di clientelismo rimane amaramente deluso. Chi ha case o esercizi commerciali abusivi deve rinunciarvi e alcuni, addirittura, perdono il lavoro in fabbrica, poiché Natoli ha deciso di chiuderla a causa del troppo inquinamento. L’onestà è dunque arrivata a Pietrammare, ma costa cara a tutti, anche ai familiari del sindaco stesso, che non concede favoritismi di alcun tipo. Nessuno ha mai creduto davvero che l’unica strada per risollevare il paese debba necessariamente passare attraverso la legalità, se non Natoli e sua figlia, due utopisti destinati a “soccombere” di fronte alla legge del popolo, che preferisce l’involuzione, perché “si stava meglio quando si stava peggio”.
Nel film di Ficarra e Picone si ride, ma con la persuasione che la commedia non si allontani troppo dalla realtà, sospesa tra desiderio di cambiamento (espresso sovente solo sotto forma di parole) e immobilismo cronico. Il film, benché non sia un trattato politico o morale, suscita alcune domande: quanto di nostro siamo pronti a sacrificare in nome del bene comune? La legalità è una parola astratta che riguarda solo le vite altrui, ma che non deve interferire con i nostri privilegi e comodità?
Il risvolto finale – benché animato forse da una intenzionale descrizione disincantata del reale, e scelto rispetto a un più classico happy end – lascia l’amaro in bocca e manca totalmente (come avviene ancora troppo spesso al cinema italiano) di quella speranza che è poi il vero motore di ogni autentico desiderio di cambiamento.
Eleonora Fornasari
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