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La ruota delle meraviglie


TITOLO ORIGINALE: Wonder Wheel
REGISTA: Woody Allen
SCENEGGIATORE: Woody Allen
PAESE: Usa
ANNO: 2017
DURATA: 101'
ATTORI: Kate Winslet, Jim Belushi, Justin Timberlake, Juno Temple.
SCENE SENSIBILI: alcune scene a contenuto sessuale, turpiloquio, violenza verbale in famiglia.
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Negli anni Cinquanta, Ginny (Kate Winslet), barista quarantenne con un passato mitico di attrice, vive col secondo marito Humpty (Jim Belushi) e il figlio di prime nozze, nel Luna Park di Coney Island, ormai prossimo alla decadenza. La donna conduce una quotidianità insostenibile, afflitta dalla piromania del figlio e dalla tendenza all’alcolismo del marito. Si rifugia così in una relazione avventurosa con un giovane bagnino che vuole diventare drammaturgo, Mickey. Ma quando la figlia di Humpty, in fuga dal marito gangster, viene a rifugiarsi a Coney Island, i conflitti sopiti della vita di Ginny esplodono.

Le diverse anime di Woody Allen

Molti anni dopo il capolavoro Match Point, Woody Allen abbandona finalmente gli stanchi divertissement e ritorna a una dimensione in cui sa eccellere, la tragedia.
La ruota delle meraviglie si rivela un film complesso e pieno, compendio di più anime del regista, accese da una grazia che la fotografia di Storaro (alla sua seconda collaborazione con Allen dopo Café Society) e le eccellenti interpretazioni del cast sanno garantire.

La tragicità dei rapporti umani

Se all’inizio la voce narrante scanzonata del bagnino Mickey (Justin Timberlake) e il ricorso alla metanarrazione assicurano il distacco ironico alleniano, la vena tragica cresce e finisce per travolgere tutto.
Kate Winslet, in una delle sue interpretazioni migliori, incarna una figura femminile potentissima, donatrice di vita e di morte, condensando l’immagine alleniana della donna nevrotica e qualcosa di più antico e profondo, che ricorda Medea ma soprattutto Blanche di Un tram chiamato desiderio. Allen racconta la tragicità dei rapporti umani, cui in Interiors applicava il filtro rarefatto del maestro Bergman, con un nuovo linguaggio, ispirato stavolta ai grandi classici del teatro americano, da Williams a O’Neill, tessendo una trama preziosa di rimandi colti, mai gratuiti o stantii. Ma il regista non si limita a un codice univoco, molte sono le incursioni da diverse fasi della sua carriera, come la figura tragicomica del bambino piromane che, retaggio di spassose ricostruzioni autobiografiche (da Amore e Guerra a Io e Annie), accende un fuoco emblematico della rivolta tenace contro la vita matrigna e crudele.

Quando nulla basta

Il fuoco, del resto, abilmente rincorso da una fotografia miracolosa, ammanta dei suoi colori l’intera immagine della Winslet, diventando codice simbolico dell’illusione, del pathos teatrale continuamente smorzato dalla prosaicità della vita. Un blu livido inghiotte i volti degli attori quando l’esistenza si rivela in tutta la sua sgraziata crudezza.
Il nichilismo disperato di Allen pervade ogni fotogramma di un’amarezza dolorosa, eppure preferibile al giocoso cinismo del Basta che funzioni. Quando il regista ammette onestamente che nulla basta, la sua arte si fa più potente e vera. Tanto che il suo nichilismo non si chiude su se stesso ma lascia spiragli.
Un matrimonio senza poesia, il logorio delle mansioni casalinghe e delle discussioni quotidiane, hanno il volto empatico e irresistibile di Jim Belushi, un Karenin umanissimo, logorato dalla vita eppure ancora capace di un amore goffo, che, anche se non sembra, rimane amore. E quando Storaro fa calare il sipario di una luce livida e disillusa sul matrimonio di Ginny e Humpty potremmo miracolosamente trovarci a chiedere se, in quella frustrata quotidianità priva di pathos in cui le persone rimangono insieme quasi per disperazione, in fondo in fondo qualcosa di piccolo ma vero non sia del tutto da buttare.

Eleonora Recalcati

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