Umberto è un egocentrico avvocato di un importante studio milanese, marito assente e padre distratto. Dopo aver inanellato una serie di insuccessi viene cacciato dai suoi partner, ma un inaspettato colpo di fortuna sembra doverlo riportare in carreggiata: uno dei più importanti studi europei, infatti, rappresentati nella fattispecie dallo squalo Patrizio Azzesi, vuole dargli una possibilità. Intanto sua moglie gli annuncia di essere incinta e, ferita dal fatto che lui le chieda di abortire per non creare intralci alla sua carriera, decide di lasciarlo. Umberto, preso sempre e solo da se stesso, decide di lanciarsi in una pazza storia con Morgana, la moglie di Azzesi. Egocentrismo e solitudine finiranno con lo spingere Umberto sempre più in basso. Solo la tragedia con cui questa spirale culminerà riuscirà a dargli il coraggio di riportare alla luce la propria umanità.
L’egocentrismo porta alla distruzione di se stessi, e a quella di coloro che ci circondano. L’unica speranza è aprirsi all’altro. Trovare il modo di aprire gli occhi e il cuore verso ciò che non siamo noi. Perché solo così troveremo la via di uscita dal mondo asfittico e desertico che ci siamo costruiti, verso ciò che ancora non sappiamo, verso una vita fatta di curiosità, di stupore, di gratuità, di amore semplice e sincero. Questo il tema di La gente che sta bene, un film che viene definito commedia, ma che ha un alto contenuto drammatico pur cercando di preservare la vena comica (ma spesso in questo fallisce nonostante il bravo Claudio Bisio).
Umberto Durloni è un personaggio che tende allo stereotipo, ma questo non è sempre un problema. Gli stereotipi non sono sempre negativi, come non sono sempre positivi i tentativi di rendere un personaggio originale a tutti i costi. Il regista Patierno ha ben chiaro il messaggio del film, sa cosa vuole, come lo vuole, e va dritto per la sua strada. E dà così vita a una favola (ovviamente non nel senso dell’incanto, ma in quello di un racconto a personaggi molto fissi, quasi simbolici) ancora più che a una commedia o a un dramma.
Ci sentiamo in dovere però di sottolineare il fatto che il film non spinge sicuramente lo spettatore a stare incollato allo schermo. Il motivo è molto semplice. Fin dal primo minuto ci è chiaro l’egocentrismo dell’avv. Umberto Durloni e niente viene a smuovere (e neanche a scalfire) i massicci ghiacciai del suo ego fino a ben oltre la metà del film. Precedentemente abbiamo definito l’andamento di questa storia come una spirale. Sarebbe meglio definirlo come un piano leggermente inclinato. Non perché lungo il film non ci siano scelte oggettivamente più drammatiche di altre: la vera questione è che noi non riusciamo a percepirne la drammaticità. E questo principalmente a causa del fatto che non riusciamo mai a empatizzare con Umberto. Il regista non riesce mai a farci guardare il mondo con gli occhi del protagonista. Non ci prova neppure. E in questo modo la storia ci scorre davanti senza mai farci innamorare né farci arrabbiare. Quello che proviamo per Umberto non è odio, né amore, qualche volta è fastidio e il più delle volte indifferenza.
Tutto ciò che invece del film riusciamo a vivere e a condividere ci viene dalle vittime di Umberto, ma anche di Patrizio Azzesi (uno squalo peggiore di Umberto), in particolare dalle due rispettive consorti: Carla e Morgana. Questo certo non basta a dare ritmo al film che, a parte alcune scene ad alta tensione drammatica concentrate tutte verso la fine, non riesce a liberarsi da questa monotonia diffusa.
Non possiamo però omettere due cose importanti: la prima, che nel suo complesso la storia porta con sé un messaggio altamente educativo; la seconda, che l’intensità del climax finale salva letteralmente la pellicola.
Questo è un film che si guarderebbe volentieri con dei giovani, per mostrare loro il senso di una parola oggi ampiamente disprezzata nella nostra cultura. La parola umiliazione. Per capire definitivamente la bontà, per marchiarsela a fuoco nell’istinto, ancor più che nella mente, un uomo è spesso costretto a rendersi conto della propria nullità, della propria meschinità, della propria capacità di male. Per farlo spesso quell’uomo non ha altra possibilità che imboccare a tutta velocità il tunnel senza uscita dell’egoismo e dell’orgoglio. Ed è questo il percorso di Umberto. Il percorso che, volenti o nolenti, tutti noi siamo tentati di fare ogni giorno.
Scegliere un film 2014
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