Nikuko è una grande e grossa signora con una passione sconfinata per il cibo che, nonostante un passato di delusioni amorose e raggiri, continua a vivere giorno per giorno con irrefrenabile entusiasmo. Insieme a lei vive la figlia Kikuko, studentessa delle medie seriosa e completamente opposta alla madre: tra la quotidianità scolastica e l’inizio della pubertà, Kikuko dovrà fare i conti con il rapporto con la madre e con cosa significhi per lei crescere.
Il maestro Watanabe, già conosciuto in Italia con serie e film di successo come Doraemon e I figli del mare, porta al cinema la sua ultima fatica in collaborazione con lo Studio 4°. Da La fortuna di Nikuko, una coming of age story tratta dall’omonimo romanzo di Kanako Nishi, il regista giapponese crea un inno nostalgico a quelli che sono stati punti di riferimento durante la sua carriera: all’occhio di uno spettatore abituato a vedere anime dagli anni 90’ non sfuggiranno infatti le numerose reference a lavori come Doraemon e la filmografia Ghibli, pietre miliari del suo lavoro.
Nonostante il film di Kikuko e Nikuko sia una storia abbastanza semplice e senza grandi cambiamenti, rientra sfortunatamente nella scia di lungometraggi che decadono di fronte al loro antecedente letterario. Infatti, nella trasposizione da romanzo a film molte informazioni relative a contesto, personaggi e backstory vengono persi, lasciando confusi circa quale sia la direzione della storia e andando a ledere la profondità dei personaggi, che ne risultano appiattiti.
La conseguenza più evidente è il divario colossale tra madre e figlia: risultando quasi macchiettistiche con i loro caratteri agli estremi opposti, sembra non ci sia modo per le due di avere una connessione più profonda nonostante il loro legame; in particolar modo, la maturità e il senso critico di Kikuko risultano poco credibili per la sua età, sminuendo le crisi interiori che sta vivendo in quel momento delicato della sua crescita.
Il film della gentile Nikuko non è però scevro di elementi positivi che, anche se non riescono a coprire le falle di sceneggiatura, fanno comunque scorrere le due ore di film: seppur infatti il duo madre-figlia pecca nella comunicazione verbale, l’affetto del loro rapporto si rivela quasi tangibile al pubblico tramite le varie pietanze che le due si preparano a vicenda, un linguaggio che qui in Italia conosciamo bene quando prepariamo un piatto a chi amiamo. Inoltre, è apprezzabile come si sia evitato di sfruttare il tragico passato di Nikuko per una simpatia pietistica: donna più volte sedotta e abbandonata, la sua storia viene riportata in maniera breve e scanzonata, creando efficacemente un ponte con l’ottimismo della Nikuko presente, mai piegatasi alle avversità.
La fortuna di Nikuko non sarà uno dei massimi capolavori dell’animazione giapponese, ma rimane comunque una valida storia dove il rapporto madre e figlia viene raccontato con grande sensibilità, senza mai annoiare o risultare banale.
Mariapaola Della Chiara
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