Leda Caruso è una professoressa universitaria americana che, in vacanza su un’isola greca, divide la spiaggia con una famiglia originaria del luogo. Infastidita dalla chiassosa presenza dei vicini, con il passare dei giorni, si concentra però su Nina, una giovane madre che ha un rapporto difficile con il marito e con la figlia e in cui Leda rivede il suo passato. Ricordi vorticosi iniziano ad affiorarle alla mente. Rispecchiandosi in Nina ripercorre la faticosa ricerca di indipendenza come donna e studiosa intrapresa quando le figlie erano piccole e le richiedevano una cura totalizzate. La vacanza si trasformerà così nella resa dei conti con una dolorosa scelta del passato.
Maggie Gyllenhaal, attrice e figlia del regista Stephen Gyllenhaal (Waterland, Dangerous Woman), ha scelto l’adattamento del breve romanzo di Elena Ferrante, La figlia oscura, per il suo esordio alla regia e alla sceneggiatura. Il film è stato presentato alla 78° edizione del Festival di Venezia ricevendo il Premio Osella per la miglior sceneggiatura e diverse candidature agli Oscar e ai Golden Globe.
La figlia oscura è stato lodato dalla critica in particolare per aver affrontato la complessità della maternità celata solitamente dietro a una retorica che ne esalta gli aspetti luminosi, senza soffermarsi sul peso delle rinunce intraprese dalle donne in favore dei figli. L’esplorazione dell’ambiguità del sentimento materno non è però cosa nuova e costituisce anzi un tema più che frequentato dal cinema dell’ultimo decennio: il tentativo di Gyllenhaal semmai è quello di muoversi nel campo del dramma psicologico laddove altre opere hanno scelto la strada dell’horror o del thriller come Babadook o la serie TV The Servant.
La figlia oscura non è la rivoluzione decantata da alcuni e probabilmente nemmeno uno dei tentativi più riusciti di affrontare questa tematica. Lo stesso adattamento televisivo della trilogia dell’Amica geniale di Elena Ferrante, nonostante non si focalizzi esplicitamente su questo tema, riesce a sviscerare il disagio che può accompagnarsi alla maternità in modo più convincente, soprattutto perché lo incarna in un contesto storico e sociale che La figlia oscura relega invece sullo sfondo, scegliendo i tratti di uno psicologismo esasperato.
L’adattamento della Gyllenhaal, pur ripercorrendo fedelmente gli eventi del romanzo (che già soffriva di un certo schematismo rispetto a narrazioni più vibranti di Elena Ferrante), rende il racconto più astratto e disincarnato spostando l’ambientazione dalla costa napoletana, ben nota all’autrice del libro, a una generica isola greca. Nell’atmosfera rarefatta dell’isola a farla da padrone è il gioco di specchi tra Leda e Nina, le due madri, intessuto di sguardi e di flashback affioranti nella quiete vacanziera.
Leda, interpretata da Olivia Colman, fin troppo efficace nell’apparire scostante, e Nina, magnetica e ombrosa Dakota Johnson, sono personaggi sfuggenti, per nulla empatici, di cui non si colgono appieno le motivazioni. La giovane moglie controllata a vista da una famiglia malavitosa diventa l’immagine riflessa del passato famigliare della professoressa americana in una sovrapposizione impropria e a tratti artificiosa.
Il tentativo di seminare inquietudine e tensione attraverso la costruzione di una minaccia incombente che preme dall’esterno e dall’interno si rivela piuttosto maldestro, e non all’altezza di prodotti, tra cui i già citati Babadook e The Servant, che occupandosi dello stesso tema lo declinano in un’efficace narrazione di genere.
Nella Figlia oscura, invece, si respira inautenticità nella rappresentazione dell’ambientazione e dei gruppi sociali, come nell’esasperazione dei dialoghi e dei movimenti interiori.
Paradossalmente, nel tentativo di rifuggire da una retorica si ricade in una nuova forzatura, disattendendo il proposito di restituire la complessità di un legame e di un sentimento, quello materno, che forse potrebbe essere raccontato nella singolarità misteriosa di ogni donna e di ogni rapporto famigliare piuttosto che con universalismi nell’uno o nell’altro senso. Come nei racconti più agiografici sulle “madri coraggio” anche qui, solo nella direzione opposta, il peso della maternità finisce per dominare la scena riducendo la singolarità di Leda, del suo rapporto con la vita e con le figlie, a simboli sbiaditi e astratti.
Eleonora Recalcati
Tag: 2 Stelle, adattamento da romanzo, Drammatico