La sedicenne Paula è l’unica della famiglia Bélier a sentirci; suo padre, sua madre e suo fratello, infatti, sono tutti sordomuti e lei costituisce un tramite indispensabile con il resto del mondo, anche per la gestione della loro fattoria. Timida e responsabile, Paula, per seguire un ragazzo che le piace, si iscrive alle lezioni di coro della scuola e lì il professore Thomasson scopre che ha il dono di una voce bellissima. La fa studiare e le propone di partecipare a un concorso a Parigi ma questo mina gli equilibri familiari…
Saper raccontare problematiche socialmente sensibili, la diversità e i legami familiari con leggerezza e umorismo, ma senza dimenticare la commozione, con un occhio alla modernità e qualche benvenuto sberleffo al politically correct, ma anche con il fazzoletto pronto per le lacrime, non è affatto facile. Eppure è quello che negli ultimi anni è riuscito a fare il cinema francese con una serie di commedie leggere ma non inconsistenti, che non a caso hanno portato nelle sale milioni di persone in patria ma anche all’estero (ed è noto quanto sia difficile esportare l’umorismo).
Nello stesso filone si inserisce La famiglia Bélier, commovente e divertente storia canterina di una ragazza con una gran voce nata in una famiglia di sordomuti; la protagonista è la vincitrice della versione francese di The Voice, che pur non essendo attrice di professione, dona alla sua Paula, timida e grassottella, il giusto mix di goffaggine, idealismo e tenerezza adolescenziale.
La storia è quella del proverbiale “brutto anatroccolo” che troverà faticosamente la sua strada tra primi amori, sviluppo e un maestro un po’ scorbutico e frustrato, diviso tra le aspirazioni verso la capitale e gli sfoghi contro i suoi allievi provinciali.
A complicare le cose in un già delicato percorso di crescita verso l’età adulta (l’arrivo del primo ciclo è l’occasione di una tra le gag a sfondo sessuale non proprio delicatissime che punteggiano una storia per il resto molto family friendly) c’è il complesso legame tra Paula e la sua famiglia. Non soltanto i genitori sordomuti contano su di lei per molti aspetti della gestione quotidiana, ma la passione della ragazzina per la musica risulta incomprensibile e quasi offensiva a persone che, come molti sordomuti reali, si considerano una categoria a sé e separata dagli udenti. Uno dei momenti più strazianti e veri della storia è quando la mamma di Paula, solitamente solare, ammette di aver pianto quando alla sua nascita il marito le aveva rivelato che la figlia ci sentiva.
La descrizione dei Bélier si divide tra momenti di efficace realismo (come quando vanno al concerto scolastico di Paula e il suono scompare, lasciandoci intendere il lancinante isolamento di chi non può nemmeno immaginare quel che significhi il canto) e altri più sopra le righe: l’esuberante vita sessuale dei genitori Bélier; la prima volta del fratellino minore di Paula, affrontata con sconcertante nonchalance (l’idea che avvicinarsi il prima possibile alle prime esperienze sessuali sia per gli adolescenti un obbligo non è minimamente problematizzata e anzi data per scontata…); l’improbabile campagna elettorale del papà contro il solito sindaco cinico e opportunista.
Nonostante quest’alternanza di codici, il film non perde mai la presa emotiva sullo spettatore. Tra canzoni di Michael Sardou (il cantante preferito di Thomasson, che saccheggia il suo repertorio, a volte forse un po’ risqué per dei sedicenni) cantate a cappella, in duetto, o accompagnate dal linguaggio dei segni, primi palpiti adolescenziali, e un paio di sottotrame superflue, La famiglia Bélier riesce a raccontare le speranze e le contraddizioni del passaggio all’età adulta, la necessità del distacco e il bisogno di attaccarsi alle radici di chi va, la sfida dell’essere genitori, capaci di abbracciare i propri figli, ma anche di lanciarli verso un futuro che forse li porterà lontano.
Scegliere un film 2016
Tag: 4 stelle, Film Francese, Genitori e Figli