Jesper frequenta svogliatamente l’accademia di posta. Suo padre, che ne è il direttore, visto lo scarso rendimento del figlio lo spedisce sulla più remota isola del nord del paese, da cui potrà andarsene solo quando avrà consegnato 6000 lettere. L’impresa è quasi impossibile in un paese diviso dall’odio, i cui abitanti a stento si parlano, ma dal suo incontro con il burbero Klaus nascerà la mitica figura di Babbo Natale.
Il primo lungometraggio animato prodotto direttamente per Netflix è un piccolo gioiello: un film capace di rimettere al centro i valori tradizionali del Natale senza risultare mai stucchevole o buonista.
Sarà perché il creatore, Sergio Pablos, dopo essere cresciuto alla scuola della Disney, ha creato la celebre franchise di Cattivissimo Me, ed è quindi particolarmente adatto ad unire un racconto classico con una prospettiva moderna e originale.
Klaus, infatti, cerca di restituire al pubblico il personaggio classico per eccellenza, Babbo Natale, tanto famoso quanto usurato da lunghi anni di utilizzo a fini commerciali. E lo fa attraverso una origin story che non va a esplorare le reali radici cristiane del personaggio, ma ne reinventa la storia a partire da una domanda ironica: cosa succederebbe se tutto quello che c’è di buono e bello in Babbo Natale fosse dovuto alle azioni del personaggio più egoista e imperfetto che si possa immaginare?
Nasce così Jesper, postino indolente e egocentrico, che viene spedito dal padre nella tetra e glaciale Smeerensburg con la missione di recapitare 6000 lettere. Ma in un paesino lacerato da faide millenarie, in cui gli abitanti stanno sbarrati nelle proprie case quando non sono impegnati a farsi la guerra fra loro, non è facile trovare qualcuno che voglia mandare una lettera. Solo quando Jesper porterà per sbaglio il disegno di un bambino al rude e misterioso Klaus e questi gli regalerà in cambio un giocattolo, qualcosa inizierà impercettibilmente a cambiare nell’isola…
Il motore della storia sono giustamente i bambini, perché sono gli unici a non essere ancora imprigionati nelle tradizioni di odio e rancore, ormai prive di ogni fondamento, che le loro famiglie si trasmettono di generazione in generazione. Ma il protagonista rimane lui, Jesper, che inizia a seminare il bene senza volerlo, anzi, mentre cerca con tutti i mezzi una strada che gli permetta di uscire da quell’inferno e ritornare alla sua comoda quotidianità. È un personaggio credibile e simpatico, proprio perché non ha niente di eroico. Il suo unico merito è quello di riconoscere la bellezza di quanto involontariamente sta facendo succedere e nel non abbandonarla più, fino a farsi cambiare da essa.
Su questo nucleo tematico si innestano tutti gli elementi che tradizionalmente appartengono alla “mitologia” di Babbo Natale: la slitta, le renne, l’abitudine di entrare in casa attraverso i camini, il carbone ai bambini cattivi… fino ad arrivare agli aiutanti “magici”. Ma tutto trova qua una spiegazione logica e terrena, oltre che divertente. Un tocco di magia torna solo nel finale, per rendere eterno quel che abbiamo visto poter accadere nella vita di tutti i giorni.
Una nota di merito va anche all’aspetto tecnico perché, in controtendenza rispetto alle mode del momento, il film è stato interamente disegnato a mano e realizzato con animazione tradizionale 2D, ma illuminato con l’ausilio della CGI. Un punto in più di unione fra tradizione e modernità, che magari non viene percepito subito, ma aiuta a creare un universo visivo insolito, sorprendente per i bambini e capace di restituire agli adulti un ricordo dei cartoni che hanno reso magica la loro infanzia.
Scegliere un film 2020
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