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John Wick 4


TITOLO ORIGINALE: John Wick: Chapter 4
REGISTA: Chad Stahelski
SCENEGGIATORE: Shay Hatten e Michael Finch
PAESE: USA
ANNO: 2023
DURATA: 169'
ATTORI: Keanu Reeves, Donnie Yen, Shamier Anderson, Bill Skarsgård, Laurence Fishburne e Hiroyuki Sanada
SCENE SENSIBILI: violenza nei limiti del genere
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

La storia riprende dove ci eravamo lasciati. Sfuggito alla morte, John Wick comincia la sua vendetta contro la Gran Tavola, a partire dall’assassinio del Reggente. È così che il Marchese Vincent de Gramont riceve pieni poteri dalla Gran Tavola mobilitando tutti i sicari del mondo contro John Wick, in particolare il letale Caine. Per il nostro eroe rimane una sola carta per uscirne vivo: sfidare a duello il Marchese. Per farlo però dovrà prima essere riammesso nella Ruska Roma.

Non tutto è antiproiettile

La saga di John Wick ha mostrato non poco talento negli anni nel farsi prima coesa e poi audace. Ogni nuovo capitolo si espande sulle premesse degli episodi precedenti e tenta di sollevare ancora l’asticella. A forza di alzare la barra però ci vuole poco a grattare il soffitto, e dopo gli abiti in giacca e cravatta antiproiettili, ormai il mondo della Gran Tavola convince meno dei capelli tinti di Keanu Reeves.
Il film si difende bene, è divertente, avvincente, non pesano eccessivamente le quasi tre ore di pellicola. Ma ormai se ne sente la vecchiaia. Lo stesso Reeves, in forma sorprendente per il suoi 58 anni, può reggere fino a un certo punto la credibilità della storia. Il primo John Wick vedeva un ex sicario abilissimo contro una famiglia mafiosa russa a New York; adesso John deve occuparsi di eserciti di nemici in ogni angolo del mondo. Se non è stata la caduta dal tetto del Continental a ucciderlo, è la stanchezza che esaurisce quest’ultima avventura, ponendo la parola “fine” con un sospiro più di sollievo che di soddisfazione.

Una pietra miliare del cinema

Ora che la saga è conclusa, però, è necessario riconoscerle i debiti meriti. Come i santi e miracoli possono essere riconosciuti solo posteriormente, così a bocce ferme possiamo guardare al lavoro di Chad Stahelski, il regista, e offrirgli l’applauso dovuto. La saga di John Wick infatti è stata da principio un esperimento e poi un lascito importante del cinema d’azione. Stuntman prima e regista poi, Stahelski ha creato un modello professionale e qualitativo senza precedenti, con coreografie complesse e innovative nella ripresa come nell’uso degli effetti speciali. Molti giovani autori e stuntmen artist lo studiano e cercano di seguirne l’esempio; come lo stesso Scott Adkins, non a caso chiamato a interpretare il viscido Killa sotto una maschera che è evidentemente ispirata al Pinguino di Colin Farrell in The Batman.

Sicari non si diventa per sbaglio

Ma è nel contenuto che lascia un po’ perplessi quest’ultimo film. Tralasciamo alcune note insipide come la dubbia utilità di personaggi quali Mr. Nobody, oppure il finale aspro nel post credit per il povero Caine. Tuttavia, il primo John Wick aveva una premessa abbastanza assurda per sorvolare sulla mole di cadaveri che Keanu Reeves si lasciava alle spalle: “il figlio di un potente mafioso russo uccide il cane all’uomo sbagliato nel momento sbagliato”. Difficile prendere qualunque altra cosa più sul serio del dovuto.
Invece, giunti alla fine di questo quarto capitolo (attenzione, avvisiamo per lo SPOILER) Bowery King ci pone, seriamente, la domanda se John Wick sia destinato all’inferno o sieda in paradiso. Al che, lungi dal voler contare in tasca all’Onnipotente, ma… vista la carneficina di anime abbandonate per le strade, le piazze, gli hotel, e l’infinita scalinata del Sacré Coeur… tali eventi potrebbero legittimamente far valere a Mr. Wick almeno qualche anno di espiazione in purgatorio.
Quella di Bowery risulta essere una domanda anche più assurda della premessa del primo capitolo; per un film che decide di porsi interrogativi morali dove (forse) sarebbe stato meglio fare finta di niente. Come aveva sempre fatto.

Alberto Bordin

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