Ispirato al finale dell’Odissea, una reinterpretazione in chiave moderna del ritorno di Ulisse nel suo regno in mezzo al mare spogliato dal mito, dal divino e dall’epica della guerra.
Tolti i ciclopi, i mostri, le maghe e soprattutto il viaggio, cosa rimane dell’Odissea?
Un uomo sbattuto dal mare che arranca su una spiaggia, troppo stanco anche per tornare a casa. Non è una spossatezza solo fisica quella narrata da Uberto Pasolini nella sua visione del poema omerico: le ferite che segnano il corpo nudo di Ulisse sono solo il segno superficiale di quelle più profonde che gravano sul suo spirito. Il senso di colpa per l’annientamento di Troia, le tante morti sulla sua coscienza, una vergogna che lo trasfigura agli occhi dei suoi sudditi e di sua moglie.
Non serve l’incanto di Atena per nasconderlo: è Ulisse stesso che non vuole mostrarsi, che arriva per caso sulla sua isola e appena riprese le forze vuole già ripartire. La guerra è diventata la sua vera casa, di cui non vuole aprire più le porte, soprattutto a suo figlio Telemaco. Che lo cerca, lo aspetta, ma non può riconoscerlo: non ha mai conosciuto suo padre, come non ha mai visto la guerra.
È su questo parallelo che si basa il tema del film: Ulisse è la guerra. Grazie a lui Troia è stata vinta, per lui Telemaco e i suoi sudditi sono pronti a combattere, è lui a portare la battaglia tra le mura di casa. Penelope lo attende… ma si domanda chi troverà al suo ritorno: un marito o un carnefice?
Reinterpretare in chiave moderna uno degli archetipi più forti della drammaturgia (e non solo) è una sfida che Itaca: il ritorno ha intrapreso con coraggio. Il risultato, però, lascia qualche dubbio.
Togliere al mito il divino leva certamente al suo eroe diverse scorciatoie e lo mette davanti alle sue responsabilità: Ulisse non agisce per volere di un Dio né con il suo aiuto. Nemmeno ci combatte contro: è solo e nudo, con i suoi sentimenti. Il film però sembra concentrarsi solo sul suo senso di colpa: un’emozione sconosciuta all’Odisseo omerico, sicuramente moderna.
Il film tuttavia sul finale sbatte contro il sentimento principale del ritorno a Itaca: la vendetta. Come può un uomo che si vergogna della guerra portarla tra le mura di casa propria? Il film dà una risposta che pare contraddire il suo protagonista, lasciando un amaro in bocca disperante: allora la guerra è davvero necessaria?
È proprio qui che si sente la mancanza del mito: i suoi personaggi sbagliano, commettono nefandezze e gesta eroiche, sotto gli occhi di dèi capricciosi, a volte benevoli, a volte contrari, ma raramente indifferenti. Dèi che ambiscono all’umanità perché mortale, sempre in bilico tra vita e morte, tra il giusto e lo sbagliato. E per questo scendono in mezzo a loro, e gli uomini a loro guardano con speranza.
Perché senza il divino l’uomo è condannato a una guerra senza ritorno: è questa la dimostrazione per assurdo, forse involontaria, del film.
Claudio F. Benedetti
Tag: 3 stelle, Drammatico