Massimo (Edoardo Leo) è proprietario insieme alla sorella Adriana (Margherita Buy) di un bed&breakfast nel centro di Roma, ereditato dal ricchissimo padre. Purtroppo però, vuoi la crisi, vuoi una gestione non brillante della struttura, l’attività si ritrova sull’orlo del fallimento, anche a causa della concorrenza delle case di ospitalità religiose che hanno clienti tutto l’anno e non pagano le tasse. Da qui l’idea: trasformare il bed&breakfast in un luogo di culto, per attrarre nuovi avventori e far quadrare i conti. Preti, rabbini, imam e persino testimoni di Geova: nessuno però sembra voler aderire all’assurda iniziativa. E allora a Massimo, con l’aiuto della sorella commercialista e di uno scrittore fallito a fare da “teologo”(Giuseppe Battiston), non rimane altro che un’ultima disperata soluzione: fondare una religione tutta sua…
Dopo Che vuoi che sia, Alessandro Aronadio ed Edoardo Leo tornano a lavorare insieme in un’altra commedia, anche se stavolta tocca al primo mettersi dietro alla macchina da presa.
Lo spunto di partenza ha una sua originalità e un indubbio potenziale comico, avvalorato e sostanziato da un buon cast, costruito attorno al solito Leo, ormai quasi una maschera nell’essere sempre uguale a se stesso, ma proprio per questo una garanzia nell’interpretare ogni volta la parte del giovane spiantato e immaturo che combatte contro crisi e precarietà.
Questa volta però la storia travalica i confini del solito tema e il disagio sociale ed economico che affligge questa generazione è solo il pretesto per affrontare un altro ambito dell’esistenza umana: la religione.
Pur nei canoni della commedia dell’assurdo, un genere che può più o meno piacere (anche qui sono svariate le situazioni divertenti, a prescindere dai gusti in fatto di commedia), il film si fa prendere un po’ la mano saltando presto, molto presto, a conclusioni astruse, fondate su una visione molto personale della vita e di alcuni suoi importanti aspetti, come appunto la fede e la spiritualità in generale, infarcendo trama e dialoghi di luoghi comuni e discutibili preconcetti.
Il film d’altronde ha un buon ritmo, soprattutto nella prima parte, dove nel giro di poche scene si viene trascinati subito nel vivo della storia e del meccanismo comico che è anche il motore narrativo della vicenda, ma nonostante questo è alienante e disturbante – perché drammaturgicamente scorretta, oltre che tendenziosa – la pressoché totale mancanza all’interno della sceneggiatura di un reale contraddittorio, cioè di un punto di vista altro e alternativo che sia portatore credibile e plausibile del contro tema (chiamiamolo così), appartenente a chi la fede ce l’ha e in Dio crede per davvero.
Il doppio ribaltamento finale nelle vedute del protagonista sulla vita e in particolare sulla moralità delle sue scelte, sopperisce solo parzialmente al delirante percorso fatto da Massimo, e al generale andamento della trama del film che comunque, essendo una farsa costellata da personaggi e situazioni surreali, non si prende mai troppo sul serio, nonostante l’importanza del tema. Il problema vero però è che scherzare sulla religione è sempre un azzardo, perché la fede è qualcosa di intimo, personale, che fa parte della sfera più profonda e identitaria di ognuno di noi, e questo film non tiene minimamente conto di questo aspetto, rivelando una certa mancanza di sensibilità da questo punto di vista.
Gabriele Cheli
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