1969: l’uomo sbarca sulla Luna e Indiana Jones si sente ormai come uno dei reperti archeologici che cercava quando era giovane. Il vecchio Indy ha i capelli bianchi e si è separato da Marion dopo la scomparsa del figlio. Le sue avventure sembrano solo un ricordo doloroso, quando la figlia di un vecchio amico torna a trovarlo: è Helena Shaw, in ricerca del leggendario quadrante di Archimede. Ma non è l’unica sulle sue tracce…
Un’ultima avventura per Indiana Jones, a cui teneva soprattutto Harrison Ford, che tornando a indossare cappello e frusta sembra ringiovanire davvero, ancor più di quanto la computer grafica abbia saputo fare con il suo alter-ego trentenne nelle sequenze iniziali del film.
Insieme a lui torna lo spirito di avventura che ha reso famosa la saga e creato un genere, che il regista James Mangold dimostra di saper padroneggiare e rispettare. Forse un po’ troppo: le continue strizzate d’occhio ai fan, attraverso rimandi ai capitoli precedenti di Indiana, spezzano il ritmo del film ricordando fin troppo spesso al pubblico di essere all’addio di un amico più che al cospetto di qualcosa di nuovo. Una sensazione da museo che il film non riesce mai davvero a scrollarsi di dosso, nonostante una fotografia all’altezza dei panorami visitati (tra cui la Sicilia) e ambientazioni sconosciute – come l’immersione nel Mediterraneo alla ricerca del leggendario quadrante di Archimede, tra scafandri e murene.
Alla fine di due ore e mezza comunque godibili e spensierate, si sente di aver assistito a un’operazione nostalgia fuori tempo massimo, a quindici anni di distanza da quell’Indiana Jones e il teschio di cristallo che aveva già dato l’impressione di aver scomodato una saga conclusa con la trilogia degli anni’80.
Termina così la saga di Indiana Jones, con il sollievo più che la soddisfazione dei fan e, forse, dei suoi stessi creatori. Sia George Lucas, ideatore del personaggio, sia Steven Spielberg, regista della saga, si sono infatti chiamati fuori dalla scrittura di quest’ultimo capitolo, rimanendo come produttori esecutivi. Neanche l’utilizzo di nuovi attori affermati sul panorama internazionale come Mads Mikkelsen (Casino Royale, Hannibal, Un altro giro) e Phoebe Waller-Bridge (Fleabag) ha portato a questo finale la brillantezza che avrebbe meritato. Rimangono solo la nostalgia e la musica di John Williams a salvarlo.
Claudio F. Benedetti
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