Venti anni esatti dopo l’invasione aliena del 4 Luglio 1996 la storia sembra ripetersi. Dai resti di una nave extraterrestre dormiente, l’unica atterrata venti anni prima, parte un segnale verso lo spazio. I rinforzi alieni non tardano ad arrivare, scatenando un nuovo e forse definitivo attacco. L’obiettivo dei malvagi extraterrestri è quello di prelevare il nucleo terrestre e distruggere il pianeta. Ma anche questa volta devono fare i conti con la determinazione e la creatività del genere umano…
Dopo venti lunghi anni arriva l’atteso sequel di Indipendence Day. Il regista è lo stesso, Emmerich, che con questa pellicola aggiunge un altro tassello alla sua collezione di film iscrivibili al genere fantascientifico-catastrofico (tra gli altri Stargate, Godzilla, 2012, The Day After Tomorrow…).
Niente da dire sulla “confezione”, per la quale il regista tedesco non si fa mancare niente. Lunghe sequenze di azione ben girate, ricche di effetti speciali di notevole verosimiglianza, il tutto condito da una colonna sonora da far tremare i polsi. La ricchezza audio-visiva riesce quindi nel tentativo di tenere lo spettatore incollato alla poltrona, compensando, a dirla tutta, l’esilità della sceneggiatura.
Gli ingredienti in realtà sono gli stessi: la posta in gioco (la sopravvivenza del pianeta), il tema (conoscenza aliena vs creatività umana), lo scenario apocalittico, la struttura corale del racconto e – last but not least – il sarcasmo a palate per stemperare i momenti di tensione. Eppure questa volta il mix non sortisce i medesimi effetti e il risultato lascia un po’ a desiderare.
Innanzi tutto sarebbe inutile negare che pesa, e non poco, la mancanza di Will Smith. Nel 1996 l’afroamericano nell’immaginario collettivo era ancora il Principe di Bel Air (l’ultima serie venne prodotta proprio in quell’anno) e la sovrapposizione con quel personaggio calzava alla perfezione con il tono irriverente del Capitano Hiller, che poi per osmosi era anche il tono del film. Nel sequel il ruolo di protagonista tra i protagonisti è stato affidato a Liam Hemsworth, faccia da fotoromanzo, che purtroppo manca l’appuntamento con tutte, o quasi, le battute con un minimo di potenziale comico. Inutile dire che il confronto con Will Smith è una partita senza storia.
Il problema vero del film, però, è che è privo di un centro emotivo. I personaggi, infatti, sono tutti molto piatti ed è difficile, se non impossibile, affezionarsi alle loro sorti. Forse proprio per colmare questa lacuna, in modo molto meccanico, è stato inserito il figlio del defunto capitano Hiller, anche lui pilota dell’aviazione, il cui contributo però nell’economia della trama è decisamente marginale. Facile intuire che la sua storia sarà materiale di racconto per il terzo episodio.
A dirla tutta, il film dà l’idea di essere un’operazione commerciale per riprendere le fila del discorso con il pubblico, dopo tanti anni passati nel dimenticatoio, e tirare la volata al grande (speriamo!) finale nell’ultimo episodio. Anche per quanto riguarda il plot, infatti, di originale c’è ben poco. La sensazione è che gli sceneggiatori si siano risparmiati le trovate migliori (di cui qui abbiamo solo confuse anticipazioni) per il sequel del sequel e il risultato è che, a tratti, sembra di stare alla sagra del déjà vu. Chiamatele, se volete, citazioni.
Gabriele Cheli
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