Montana, 1925. Phil e George sono fratelli e da oltre 25 anni gestiscono fianco a fianco il ranch di famiglia. I rapporti tra i due, già tesi, peggiorano ulteriormente quando a sorpresa George sposa Rose, una vedova che gestisce una locanda. Il matrimonio infatti è osteggiato da Phil, morbosamente possessivo nei confronti del fratello, e la rabbia dell’uomo si riversa sulla donna che precipita nella spirale dell’alcolismo. Le cose però prendono una piega inaspettata quando al ranch torna il figlio di Rose, Peter, un giovane eccentrico e dai modi effeminati che studia al college per diventare medico come suo padre, morto suicida. Il ragazzo sembrerebbe destinato a diventare l’ennesima pedina nelle mani di Phil e invece si rivela tutt’altro che sprovveduto, pronto a qualsiasi cosa per amore di sua madre…
Il film, distribuito da Netflix, ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la regia (tra cui l’Oscar e il Leone d’Argento a Venezia) e racconta il dramma di una famiglia non convenzionale nel far west dei primi del ‘900. La regista Jane Champion, già premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale nel 1994 (con Lezioni di Piano) riesce a costruire la tensione giusta per esplorare fino alle estreme conseguenze il mondo interiore dei protagonisti, quasi a voler sondare il limite della sopportazione umana.
Questo disagio interiore, dovuto in gran parte alla complessità delle situazioni famigliari raccontate (una coppia di fratelli che vive da anni senza genitori, una giovane famiglia mutilata dal suicidio del padre) sembra trovare corrispondenza esteriore nell’impianto scenografico, uno scenario decadente e romantico, spoglio e ostile, che racconta la fine di un mondo epico e radicato nell’immaginario collettivo come quello del far west.
Un’ambientazione evocativa quindi e portatrice di tanti valori propri del genere western (lealtà, coraggio, amicizia) ma il tutto un po’ malinconicamente fuori tempo massimo: non ci sono infatti pionieri né pistoleri ed è finito il sogno della frontiera (e con lei la ricerca di un mondo migliore) tutte cose ormai relegate in un passato che sembra essere il vero protagonista della storia.
Tutti i personaggi infatti devono fare i conti con i fantasmi del tempo che fu: la ferita per la tragica fine del marito per Rose e suo figlio, il ricordo ingombrante di Bronco Harry, maestro di vita per i due fratelli cresciuti senza genitori. La presenza-assenza di questa figura mentoriale incombe sulle loro vite soprattutto per volere di Phil (con il quale si lascia intendere ci sia stata anche una sorta di iniziazione omosessuale).
E proprio questo personaggio, che all’apparenza sembra il più forte dei due fratelli, incarna il precario equilibrio tra presente e passato su cui è costruito il film: è senza dubbio lui il protagonista per quanto riguarda la presenza in scena e l’incidenza nelle principali svolte narrative ma, d’altra parte, è antagonista da un punto di vista tematico e della presa sul pubblico. Troppo individualista ed ancorato ad un passato che ha idealizzato, al punto che il suo rapporto perverso con il tempo si ripercuote su relazioni e affetti. La sua attitudine prevaricatrice e l’inclinazione omosessuale (a dispetto di un’apparenza da duro tra i duri) si scontrano però con l’acerbo Peter (ma autenticamente virile, negli atti e nelle parole) piuttosto marginale nella prima parte ma probabilmente da considerare il vero protagonista, come ci suggerisce la regista con la voce narrante iniziale e con il sorprendente finale. A ben vedere infatti la storia è una sorta di rivisitazione dell’episodio biblico di Golia contro Davide (che è anche l’autore del Salmo 22, da cui deriva il titolo del film): qui il giovane Peter, imberbe e delicato d’aspetto, usa anche l’arma della seduzione per sconfiggere il gigante che alimenta il suo ego terrorizzando chiunque abbia vicino.
Gabriele Cheli
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