Jean-Luc Godard (Garrel), nel 1967 è uno dei celebri registi francesi della nouvelle vague e ha appena terminato un film (il verboso La chinoise) che non viene ben accolto dal pubblico. Ha anche iniziato una relazione con la giovanissima Anne Wiazemski, che sarà la sua sposa, musa e compagna per alcuni anni. Dopo dibattiti infuocati con studenti e operai, in cui Godard si sente comunque a disagio, i due vanno insieme verso Cannes nella primavera del 1968: le onde della contestazione toccheranno anche il festival, e anche la relazione con Anne verrà messa a dura prova.
Hazanavicius, che aveva avuto un successo mondiale e diversi Oscar omaggiando il cinema muto con The Artist, ritenta un’operazione simile raccontando la vita dell’introverso e problematico Godard, ma usando i colori, il montaggio, gli stilemi, le inquadrature che hanno caratterizzato il cinema del regista/protagonista nei suoi film degli anni ’50 e ’60, l’epoca più fertile e inventiva di un percorso che poi è invece andato su vie sempre più tortuose e iper-intellettuali, che hanno allontanato il pubblico e reso Godard un “affare per cinefili” non solo duri e puri, ma durissimi e purissimi.
Il tono del film è di amabile celebrazione/presa in giro: Godard appare geniale sì, ma anche infantilmente pieno di sé, lontano da tutti e tutto preso dalle sue elucubrazioni. Il film gioca ripetutamente sulla metafora degli occhiali, sempre fuori posto, che si rompono spesso per i motivi più diversi…
Non deve essere stato facile, per la giovane Anne –dalla cui autobiografia il film è tratto-, morta proprio mentre il film era da pochi giorni nelle sale, stargli vicino, e il film lo mostra senza reticenze, descrivendo un genialoide iper-attaccato alla sua giovane musa, geloso e un po’ velleitario. Il titolo originale del film si riferisce al nome di un sottomarino francese che sentiamo citare alla radio: ma redoutable significa “formidabile”… è chiaro l’intento ironico dell’autore rispetto a una vita che invece vediamo tutta presa da piccole cose e impegnata a fare la “rivoluzione” nei salotti, nelle camere d’albergo o in una bella villa della Costa Azzurra.
Hazanavicius fa un lavoro davvero notevole di ricostruzione d’epoca e di mimesi dello stile godardiano: i cinefili troveranno pane per i loro denti e potranno divertirsi a ricostruire le citazioni esplicite, le allusioni, gli omaggi.
La storia, di per sé, è meno appassionante, anche se rimane godibile come ritratto di un’epoca e di alcune parole d’ordine cultural-ideologiche, di cui Hazanavicius mostra con divertita ironia le contraddizioni, gli slogan, il conformismo dei rivoluzionari con l’eskimo.
Il film, presentato a Cannes nel 2017 ha avuto un’accoglienza un po’ contraddittoria in patria, mentre da noi è passato quasi inavvertito, almeno come incassi, il che dimostra anche che davvero tanti anni sono passati dal Godard degli anni ’60…
Armando Fumagalli
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