1961. Katherine, Mary e Dorothy lavorano alla NASA nella sezione che si occupa dei calcoli per il programma spaziale. Quando il governo mette pressione alla squadra collaudi perché mandi degli astronauti nello spazio e stia al passo con l’Unione Sovietica, Katherine ne entra a far parte in veste di matematica. Le difficoltà per Katherine non sono date solo dal dover rispondere a un capo – Al Harrison – molto esigente, ma anche dall’essere l’unica persona di colore del team. Allo stesso tempo, Mary non desidera altro che diventare ingegnere e Dorothy vorrebbe vedere riconosciuto il proprio ruolo di supervisore… Per ottenere ciò che vogliono tutte e tre dovranno scontrarsi con chi le giudica solo in base al colore della pelle o al fatto che indossino la gonna.
Tratto dall’omonimo libro di Margot Lee Shetterly, Il diritto di contare porta sullo schermo una classica storia di riscatto americano. Nella “terra dei liberi” la discriminazione razziale è un argomento ancora tremendamente attuale e senza dubbio questo fattore ha inciso sugli straordinari incassi che il film ha registrato negli States.
La storia, di per sé, è piuttosto semplice e lineare, anche se a complicarne in parte lo svolgimento è la presenza di tre protagoniste. Infatti, nonostante la linea narrativa che segue le vicende di Katherine sia preponderante, le storie parallele di Mary e Dorothy hanno anch’esse molto spazio. La sensazione, tuttavia, è che il film ne risenta, perché non è mai chiaro se l’intenzione degli autori fosse quella di fare un film corale o meno.
In ogni caso, i personaggi femminili sono ben delineati e risulta estremamente facile affezionarsi alle loro vicende, sia lavorative sia famigliari. Katherine, Mary e Dorothy sono eroine classiche e il pubblico non si aspetta nient’altro che vederle lottare per dare voce alle proprie aspirazioni. Qualcosa in più, forse, si sarebbe potuto fare nella caratterizzazione dei personaggi maschili, ma c’è da dire che la scelta di improntare l’intera narrazione “al femminile” è conclamata fin dall’inizio. A questo proposito, va sottolineato come, nonostante sia presente un certo tipo di retorica femminista, questa non sia la cifra preponderante del racconto, il cui cuore rimangono le vicende profondamente umane delle protagoniste.
In sostanza, pur con qualche rallentamento nella parte centrale e senza grandi sprazzi di originalità, Il diritto di contare rimane un film “pulito” e ben recitato, che può entrare a pieno diritto nella lista dei titoli da vedere in famiglia o da utilizzare nelle scuole per affrontare il tema della discriminazione.
Rachele Mocchetti
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