Teo è un pubblicitario affermato, ma immaturo e insoddisfatto nella sua vita personale: ha tagliato i ponti con la famiglia d’origine e rimanda il più a lungo possibile il momento in cui dovrà andare a convivere con la fidanzata, perché nel frattempo vede un’altra donna. La relazione con Emma, un’intraprendente osteopata cieca, gli farà rimettere in discussione la sua vita.
Silvio Soldini, dopo il documentario Per altri occhi, torna a riflettere sul tema della cecità e porta sugli schermi una storia inventata ma realistica, nel tentativo di raccontare i ciechi come sono davvero: senza le doti straordinarie che molte storie attribuiscono loto, ma armati solo di bastone, sintetizzatore vocale e di una grande tenacia (e forse, proprio per questo, ancora più sorprendenti). Valeria Golino, nonostante la difficoltà della parte, veste con grande naturalezza i panni di Emma, che ha perso la vista a diciassette anni ma non si è mai lasciata andare alla disperazione: lavora come osteopata, gioca a baseball, ha un matrimonio fallito alle spalle e vive da sola. Insieme all’amica ipovedente Patti, ancora più energica e maldestra, ribaltano le due opposte immagini che tante volte ci facciamo dei non vedenti: quella del mistico che, sulla scia di Omero, è in grado di vedere ciò che gli altri non vedono e quella, molto più prosaica, della vittima di un oscuro destino.
Certo, per Emma la vita è dura, ma più che affrontabile quando si imparano a maneggiare gli “strumenti del mestiere”, e i veri drammi non sono tanto quelli legati alla cecità, ma quelli insiti in ogni vita umana. Complementare e necessario è però il personaggio della diciottenne che non ha ancora accettato la sua condizione e che Emma, con il pretesto delle ripetizioni di francese, accompagna in questo travagliato percorso.
Proprio per dare il massimo risalto a questa realtà, quotidiana e straordinaria insieme, Soldini indugia su tanti piccoli gesti che non risultano mai banali e mantiene per tutto il film un ritmo abbastanza lento, salvo poi accelerare bruscamente e risolvere in poche battute alcuni passaggi spinosi che avrebbero meritato un po’ più di approfondimento: gli altri rapporti sentimentali di Emma e Teo, ma soprattutto l’inizio della loro relazione, che risulta in linea solo con il personaggio di lui.
Il tema più volte esplicitato nel dialogo è quello, abbastanza prevedibile, del contrasto fra sostanza e apparenza (di cui Teo è professionista, sia per il suo lavoro da pubblicitario che per la maniera con cui ha sempre gestito le relazioni), ma fra le righe riemerge costantemente un tema ben più problematico: quello dell’indipendenza. L’indipendenza pratica di Emma stupisce lo spettatore, quella spirituale di Teo, che rifugge ogni legame, lo infastidisce; ma di fatto tutta la storia può essere letta come il faticoso percorso di due anime adulte e solitarie che devono accettare di avere realmente bisogno l’una dell’altra. Significativa, da questo punto di vista, è la scena finale, in cui il buio pieno di rumori confusi che aveva aperto il film diventa improvvisamente accogliente proprio per il risuonare di una voce familiare.
Il colore nascosto delle cose è un film che sicuramente risente di alcune imprecisioni tecniche, ma affronta il tema della cecità in maniera non stereotipata e, se guardato con sufficiente attenzione, offre spunti di riflessione che riguardano anche chi è convinto di vederci benissimo.
Scegliere un film 2018
Tag: 3 stelle, Disabilità, Drammatico, Sentimentale