Anni ’70: J. R. è un bimbo di nove anni che vive con la mamma e lo zio Charlie a casa del nonno in Long Island. Il padre, che li ha abbandonati quando è nato, lavora alla radio, e il bimbo cerca tutte le sere la sua voce tra le frequenze. J. R. però non è abbandonato a sé: cresce in compagnia dello zio, gestore del bar Dickens e intellettuale che si è istruito da solo. La mamma sogna che da grande J.R. entrerà ad Harvard. Ma i suoi sogni non sono immotivati: il bambino ha un grande talento per la scrittura.
La prima mezz’ora de Il bar delle grandi speranze ha tutte le carte di un film dolce e commovente. Tratto dall’omonimo memoir di J. R. Moehringer, il primo atto si concentra sulla relazione tra il piccolo J.R. e suo zio Charlie – un coinvolgente Ben Affleck. Dentro questo rapporto il film promette l’avventura di un bimbo che scopre il senso della paternità. Charlie, infatti, è il padre che J. R. non ha mai avuto; lo educa al mondo, a essere scettico ma essere anche nobile, a essere sincero, premuroso e realista.
Anche i dialoghi, a tratti involuti, danno un senso di “saggezza popolare” al film. Lo zio Charlie è in fondo un “self-schooled”, uno che si è fatto scuola da solo. Anche il nonno, povero in canna e con tre figli e un’armata di nipoti al carico, era comunque un tempo professore di greco e latino.
È una storia di vissuto familiare, in grado di regalare sorrisi e anche qualche lacrima accendendo lo spettatore di speranza per il futuro del bimbo.
Purtroppo però il film non mantiene le promesse. Molto prima di quanto si potesse sperare, J. R. ha ormai diciott’anni e viene preso ad Harvard. Da qui in poi la storia cammina nell’incertezza e nella noia, deludendo il pubblico. Oltre al fatto che non è più chiaro quale sia la posta in gioco, il peccato più grande è che viene meno la relazione con Charlie. Il film si perde in quadri di vita universitaria che mancano di appeal, come pure la storia d’amore con la bella Sidney che riesce a lasciare solo l’amaro in bocca.
Cosa anche più strana, J. R. e chi lo circonda diventano coscienti che ciò che vive è la storia che scriverà nelle sue memorie: un espediente che rende il film a tratti surreale. Le allegorie e i richiami metalinguistici al cammino di formazione di J. R. si fanno ingombranti e fuori luogo, lasciando il sapore di una storia inventata (e poco o per nulla avvincente) e non più di un’autobiografia.
Peccato davvero. Il bar delle grandi speranze non è un film brutto ma un film che delude: aveva tutti i colori per regalare una storia preziosa e da ricordare; purtroppo, mentre il minutaggio prosegue il film si condanna al dimenticatoio.
Alberto Bordin
Tag: 3 stelle, Biografico, Drammatico