Sicilia, primi anni 2000: l’ex preside e politico Catello Palumbo esce dal carcere dopo aver scontato la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. Ha perso tutto e la prospettiva di vita da reietto sembra un’altra prigione. Ma i servizi segreti gli danno un’opportunità di riscatto: riprendere i contatti con il suo figlioccio, il latitante Matteo Messina Denaro, per condurli fino a lui.
Castelvetrano, che il film non nomina mai ma suggerisce come il “Paese dei templi e dell’olio”, ha protestato contro la proiezione del film ispirato alla storia del suo famigerato concittadino.
Il cinema del paese natale di Matteo Messina Denaro ha rifiutato di ospitare la prima del film: una damnatio memoriae forse comprensibile, ma che solleva il tema di cosa si possa o meno raccontare in un’era in cui nei media spopola il true crime.
“Cosa è giusto e cosa è sbagliato?” chiede proprio il boss nel film, in una personale parafrasi delle Ecclesiaste. Una domanda che è lecito chiedersi anche nel raccontare la psicologia di uno dei mafiosi italiani più ricercati degli ultimi decenni, consegnato alla giustizia ormai prossimo alla morte.
Il film di Grassadonia e Piazza è di per sé la risposta al quesito. Una commedia sarcastica ma delicata, che inevitabilmente avvicina al male senza giustificarlo, ma lasciandone intendere le origini: un ragazzo scelto dal padre tra gli altri fratelli perché disposto a tutto, una promessa di successo a condizione di una cieca obbedienza filiale.
Matteo Messina Denaro è boia e vittima, lupo e agnello in un mondo in cui, appunto, giusto e sbagliato sono valori letterari, buoni da insegnare a scuola ma inutili nella vita vera. Quella scuola che il boss non ha terminato e che nei vuoti e solitari giorni di latitanza rimpiange al punto da stringere un rapporto epistolare con il suo padrino e preside, Catello Palumbo, interpretato dall’ottimo Toni Servillo. D’altronde, citando una sua battuta nel film, “i carcerati sono gli unici rimasti a leggere nel nostro Paese”.
È Palumbo il vero protagonista del film, ispirato all’ex sindaco Antonino Vaccarino, manifesto di quell’Italia da Prima Repubblica accondiscendente alla mafia, ma pronta a tradirla per conservare un briciolo di potere o per riscattare la propria immagine a un passo dalla pensione – o dalla morte, che per Catello è la stessa cosa.
Claudio F. Benedetti
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