Alexandre, padre di cinque figli e cattolico praticante, scopre che il prete che aveva abusato di lui durante l’infanzia è tornato a Lione ed è ancora a contatto con i bambini. Decide quindi di rompere il silenzio che aveva mantenuto per trent’anni e scrivere alla curia per denunciare il fatto.
Il film ripercorre, con un taglio estremamente asciutto, alcuni fatti accaduti nella diocesi di Lione, nella quale il sacerdote Bernard Preynat è stato riconosciuto colpevole di aver perpetrato ripetuti abusi su giovanissimi scout negli anni Settanta e Ottanta.
Richiama immediatamente alla memoria Il caso Spotlight, vincitore l’Oscar nel 2016, ma in questo caso il punto di vista non è quello esterno dei giornalisti, bensì quello delle vittime. La tensione non è quindi volta ad appurare la verità sui fatti: essi sono accaduti e Preynat non tenta mai di negarli. Piuttosto ci si interroga sulla responsabilità della gerarchia della Chiesa, rappresentata a Lione dal cardinale Barbarin: benché sia subentrato alla guida della Diocesi in un periodo successivo ai fatti denunciati, è accusato di esserne stato a conoscenza e di non aver fatto nulla per tenere padre Preynat lontano dai bambini. Alcuni osservatori hanno fatto notare l’intempestività della distribuzione del film in Francia proprio nelle settimane in cui un tribunale doveva emettere un giudizio sul caso Barbarin, tanto più perché, dopo una condanna avvenuta nei giorni in cui il film era appena uscito, il cardinale è stato scagionato in appello un anno dopo.
Ma la maggior parte del racconto (e quella senza dubbio più interessante) è rappresentata dalle storie dei tre protagonisti. Ognuno di loro è stato vittima di Preynat, ma le loro diverse personalità e situazioni familiari hanno fatto in modo che elaborassero il dolore in maniera profondamente differente: Alexandre ha mantenuto intatta la sua fede (ed è soprattutto grazie alla sua figura che il film non diventa un atto di accusa alla Chiesa tout court, essendo l’unico che sostiene di combattere per la Chiesa e non contro di essa), François è diventato ateo ed è il più agguerrito nel richiedere giustizia, mentre Emmanuel è quello che più di tutti è rimasto segnato dagli abusi subiti e fatica a trovare un equilibrio personale. In un interessante passaggio di testimone, che vede coinvolte in maniera significativa anche le famiglie di origine e quelle formate dai protagonisti, ognuno darà il proprio contributo alla nascita dell’associazione La Parola Liberata, il cui fine è proprio quello di ottener giustizia per fatti in larga parte caduti in prescrizione.
Ozon si fa testimone silenzioso, per lasciare emergere le loro voci: il suo intento, infatti, prima ancora di scegliere il soggetto del film, era quello di trovare una storia che permettesse di parlare della fragilità maschile e di fare emergere il lato emotivo degli uomini. Lascia quindi a loro tutto lo spazio, in una struttura quasi documentaristica, che vede la trama ridotta al minimo a favore di lunghi monologhi e parole spezzate. Trattandosi di un tema così imponente, non c’è mai un momento di alleggerimento o una scena in cui si parli d’altro: per due ore abbondanti si è intrappolati dentro questo dramma, che ha come principale pregio quello di non diventare mai una guerra ideologica, perché è troppo evidente che tutte le parti in gioco sono già state sconfitte in partenza. Resta una domanda di salvezza, spesso soffocata o ridotta a un bisogno impossibile di giustizia, ma che a tratti si manifesta nella sua pienezza, come nella delicata scena finale.
Scegliere un film 2020
Tag: 3 stelle, Denuncia sociale, Drammatico, Film Francese, Plauso della critica, Storie vere