Ispirato alla storia vera di Jann Mardenborough, giocatore del simulatore di guida GT “Gran Turismo” che venne selezionato alla GT Academy, un programma televisivo che dava ad abili giocatori di eSport l’opportunità di diventare veri piloti da corsa. Mardenborough avrebbe vinto la competizione arrivando poi a gareggiare come pilota a Le Mans.
Jann vive a Cardiff, figlio di un ex calciatore operaio che non comprende la sua ossessione per i videogiochi. Quando gli si offre un’opportunità inimmaginabile, di prendere parte alla GT Academy, una competizione promossa dalla Nissan per tutti i giocatori di eSport, Jann sa che il suo sogno sta per realizzarsi. Tuttavia un volante virtuale non può preparare allo sforzo fisico che richiede entrare in una vera pista da corsa; e il ruvido allenatore Jack Salter non gli concederà tregua. Perché sulla pista, una curva incerta può costare tutto…
I film biografici hanno un grande potere: quello di farci “credere”. Tutta la narrativa soffre della nota “sindrome dell’incredulità”, e un bravo narratore è colui che riesce a sospendere l’incredulità del pubblico. Quindi quale carta migliore per vincere il nostro scetticismo che non la dicitura a inizio film “tratto da una storia vera”?
Peccato che Gran Turismo giochi un po’ tanto (qualcuno dice “troppo”) con l’idea di verità. Sì, Jann Mardenborough esiste davvero, davvero era un gamer che ha corso a Le Mans… ma le similitudini con la realtà si fermano più o meno qui.
Non si vuole insinuare che sia “tutto” inventato. Il fatto però è che la maggior parte degli accadimenti raccontati non hanno avuto luogo in relazione alla corsa a Le Mans. In particolare è stato molto criticata la messa in scena di un celebre evento tragico, raccontato come propulsore della drammatica corsa finale di Mardenborough a Le Mans, quando in realtà l’evento sarebbe accaduto solo due anni dopo; la scelta è stata definita “una ricontestualizzazione senza tatto”.
Non vogliamo però nemmeno dare piena ragione ai detrattori: in fondo questa “è” la vita di Mardenborough, il pilota ha vissuto le gioie, i dolori e l’ambizione che sono qui dipinti. Gli autori hanno cercato di raccontarcelo in un film unitario; forse (va ammesso) rischiando di scadere nel ricatto della spettacolarità.
Ma arriviamo all’esperienza in sala. In sintesi il film è… buono. Molto buono. Comincia male e finisce con grande energia; una corsa a diesel salvata dall’adrenalina e dalla regia (modesta) di Blomkamp.
Il punto più debole è la scrittura, specie nei dialoghi e nelle relazioni, e l’inizio appunto ne risente. Personaggi macchiettistici, una storia d’amore piena di cliché e innaturale, un rapporto con il padre che fa l’effetto di un cibo precotto surgelato. Non aiuta la messa in scena scarna che non dà ragione dei 60 milioni di dollari nel budget.
Ma quando finalmente cominciano a correre le macchine ecco che ritroviamo un po’ di anima, specialmente nel rapporto allievo-mentore con la figura (immaginaria) di Salter. Istinto, fervore, paura, coraggio: Gran Turismo è in fondo un’altra classica avventura di un giovane “underdog”, un perdente che ha la sua rivalsa; un genere che sa entusiasmare il suo pubblico.
La cultura americana è fatta di sogni quanto l’oceano è fatto d’acqua. Ad alcuni piacciono, altri reagiscono con più scetticismo. Ma il sogno di Jann è un tipo di sogno a cui è difficile non affezionarsi. Perché è lui il primo scettico: più che al mondo intero, Jann deve dimostrare che può correre innanzitutto a se stesso.
C’è qualcosa di molto nobile nella sua avventura, la stessa energia drammatica che caratterizzava il protagonista di Wiplash senza però scadere nell’autodistruzione. È una statura umana, la strenua corsa a verifica del fatto che siamo fatti per cose grandi. E quindi, che ad essere grande è innanzitutto l’uomo che corre.
Alberto Bordin
Tag: 4 stelle, Avventura, Azione, Biografico