Piero sta andando a cena a casa di Lara per il loro primo appuntamento: Lei viene da una recente relazione con un uomo sposato; lui è da poco divorziato ed ha in affidamento congiunto una figlia. I due protagonisti sono guidati dalle rispettive personalità: nella testa di Piero dialogano il razionale Professore, il romantico Romeo, il passionale Eros e il disincantato Valium; in Lara a confrontarsi sono l’intransigente Alfa, la seducente Trilli, la sregolata Scheggia e la sognatrice Giulietta.
Fra imbarazzi, lapsus ed incertezze reciproche l’incontro sembrerebbe finire con un nulla di fatto, ma alla fine, per la soddisfazione di tutti, i due finiscono a letto. Per sapere, però, se lui passerà la notte in quella casa, piuttosto che andarsene fugacemente, si dovrà capire quale delle voci interiori avrà la meglio nell’intimo dei due protagonisti.
Nonostante Genovese abbia dichiarato di aver avuto l’idea molti anni prima mentre preparava una campagna pubblicitaria, l’intuizione del film non può che richiamare alla mente quella del fortunato cartone animato della Pixar Inside Out, del 2015: una personificazione dei propri stati emotivi che qui dettano parole ed azioni in tempo reale ai due protagonisti sulla scena… Peccato che nella realtà non sia proprio così automatico e che a lungo andare il gioco possa risultare un po’ pretestuoso. Tutto sta a come si vuol guardare Follemente. Se si desidera trascorrere una serata in leggerezza – anche se non quella molto più articolata del pur citato Italo Calvino delle Lezioni americane – il film è brioso, a tratti divertente e capace di solleticare l’intelligenza del pubblico con rimandi a tantissimi luoghi comuni del maschile e del femminile, nella vita comune e in specie nel corteggiamento. Se, però, si vuole riflettere su come nasca un amore e quali corde del cuore vengano mosse nella fase dell’innamoramento allora siamo lontani. Qui, intanto, l’obbiettivo a cui puntano i diversi attori in gioco nelle menti dei protagonisti è quasi esclusivamente e in modo esplicito la consumazione sessuale, ma ciò che appare più irrealistico è che le componenti caratteriali rappresentate dai personaggi nelle teste dei due partner siano così a se stanti e separate che è come se costringessero i due protagonisti a innamorarsi di quattro persone diverse contemporaneamente e non di una sola, pur con tutte le sue contraddizioni. Giocando con le parole si potrebbe concludere che non si può amare follemente una mente folle, o almeno così affollata di idee e gusti tanto diversi fra loro.
Forse è proprio questo disincanto sulla natura umana così sfuggevole e contradditoria che accomuna il film a Perfetti sconosciuti, oltre ovviamente alla scelta di un ampio numero di ruoli, ma le similitudini finiscono qui. Il grande successo del 2016 aveva un impianto drammaturgico molto più articolato mentre qui Genovese e i suoi sceneggiatori si sono affidati a scrivere dialoghi funzionali ai loro bravi interpreti senza preoccuparsi particolarmente della struttura del racconto che risulta piuttosto essenziale e prevedibile. Senza colpi di scena, la vicenda prosegue lineare e la domanda non è tanto cosa succederà, ma piuttosto con quale argomento la dialettica in corso proseguirà, sapendo che non ci saranno vincitori e vinti perché maschio e femmina sono così diversi che potrebbero andare avanti all’infinito senza decidersi mai a concedersi all’altro. Se lo spettacolo è godibile lo si deve all’esperienza del regista di far muovere gli attori all’interno di soli tre ambienti e al divertimento evidente con cui le star coinvolte hanno girato, senza rubarsi la scena, ma con un’intesa sempre felice. Un cast composto da alcuni fra i più apprezzati attori italiani del momento che hanno saputo entrare facilmente in sintonia recitando ciascuno la sua parte come in una sessione di jazz. Merito anche di un montaggio particolarmente attento ad evitare cali di tensione, il film è godibile per tutta la sua durata, ma nel finale pare suggerire il messaggio che per godersi la vita (e la spaghettata collettiva che ne è il simbolo) sarebbe meglio pensare tutti di meno ed è questo, forse, l’assunto su cui meno possiamo convenire.
Giovanni Capetta
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