Nel 1957 la Ferrari è sull’orlo del collasso economico. Il “Commendatore” vive la crisi anche in casa, dopo la scomparsa prematura del figlio Dino e nel rapporto violento con la moglie Laura. L’unica speranza per l’azienda è che Enzo Ferrari vinca la celebre Mille Miglia contro i rivali della Maserati, e trovi l’appoggio della rancorosa Laura che controlla metà della compagnia minacciando di mandarlo in bancarotta… sarebbe un guaio se Laura scoprisse che da anni Enzo ha un’amante e un figlio segreto.
Non è utile girarci troppo intorno: Ferrari è un film con molti limiti.
Quello che rattrista di più è che, di per sé, la storia non mancava degli elementi per essere un grande racconto. La posta in gioco è (virtualmente) alta, i nemici della Maserati, il pericoloso rapporto con Laura, le morti in pista e il conflitto con i giornali… erano presenti tutti gli ingredienti per raccontare una grande storia, coesa e coinvolgente, in grado di rendere memorabile uno dei nomi italiani più celebri della modernità.
Invece il film si muove senza ritmo, né logico né emotivo, e a più riprese lascia confusa l’audience che non comprende di cosa si stia parlando: la sceneggiatura insiste a calcare linee narrative senza svilupparne a fondo nessuna, non il rapporto con l’amante Lina, che pare rimanere inconcluso, non quello col figlio illegittimo Piero che è quasi inesistente; la relazione col pilota de Portago non evolve, la moglie Laura rimane quasi un’estranea fino al terzo atto; e la Mille Miglia inizia solo nell’ultima mezz’ora di film.
È difficile capire cosa possa essere andato “così tanto” storto durante la produzione. Michael Mann non è l’ultimo dei registi, né degli sceneggiatori. Solo nel 2019 aveva realizzato Le Mans’ 66 – La grande sfida, film anch’esso con i suoi difetti ma dieci spanne sopra a questo lavoro. È evidente però che il film Ferrari è un’opera rovinata dal suo trascinamento nel tempo.
È tratto dal libro best-seller Enzo Ferrari: The Man and the Machine, pubblicato nel ’91, e già nel 2000 Mann ne discuteva un adattamento. Non è dato sapere quando fu scritta la sceneggiatura, ma non può avere meno di 15 anni dal momento che lo sceneggiatore Troy Kennedy-Martin (noto per la serialità negli anni ’60-80 di Z Cars e Edge of Darkness, e per aver firmato Un colpo all’italiana nel ’69) è morto nel 2009. Il copione è passato in mano prima a Christian Bale nel 2015, e poi a Hugh Jackman nel 2017. Finalmente la pre-produzione è iniziata nell’aprile del 2022 e le riprese si sono protratte dall’agosto fino a fine ottobre. Tuttavia i 90 milioni di budget non è chiaro dove siano stati spesi.
Se il dietro le quinte rimane un mistero, quello che possiamo conoscere è il suo frutto, e il film che vediamo sullo schermo non funziona: dalla sceneggiatura, alla prova attoriale, fino al montaggio. Ai problemi di struttura si aggiungono dialoghi fuori luogo che mettono in difficoltà gli attori. Lo stesso Driver, nel ruolo di Ferrari, s’impegna a dare personalità a monologhi poco credibili, ma il freddo distacco con cui affronta la parte sembra contagiare tutte le scene del film. Persino il finale suscita l’effetto di un film interrotto, laddove ci sarebbe stato spazio per raccogliere quel poco che si era seminato.
Rimane lodevole solo l’interpretazione della Cruz, non a caso celebrata e premiata dalla giuria e dalla critica. Ma per il resto, Ferrari è un film che ha dimenticato l’intuizione per cui aveva rincorso il grande schermo; a prova del fatto che le storie, persino quelle belle, non possono raccontarsi da sole.
Alberto Bordin
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