Ferdinand è un toro da corrida, ma all’arena preferisce il profumo dei fiori. Fuggito dal ranch in cui vive per evitare di combattere, verrà accolto dalla piccola Nina che vive in una fattoria floreale. Un incidente lo costringerà a tornare in campo e a sfidare il temutissimo matador.
Adattamento di un cortometraggio della Disney del 1938, Ferdinand racconta del toro amante dei fiori e contrario alla violenza che tanto aveva avuto successo in passato. La storia è rimasta più o meno la stessa del corto, ma con l’inserimento di nuovi personaggi e sequenze divertenti. Il tema di fondo è quello ormai comune a gran parte del cinema: la libertà di seguire la propria natura anche contro il giudizio degli altri. Ferdinand infatti fugge dal ranch in cui è destinato a diventare un toro da combattimento, per rifugiarsi in un luogo paradisiaco dove si coltivano solo fiori. Ma la realtà lo richiama ad affrontare la vita e quindi anche i fantasmi del passato. Scoprirà infatti che il padre, di cui aveva profonda stima, è morto durante una corrida, come accade a tutti i suoi simili, ucciso da un terribile torero, mentre tutti i tori non adatti alla lotta finiscono immancabilmente al mattatoio. Determinato a non abbandonare il suo animo gentile e a ritrovare la bimba che lo ha cresciuto con tanto amore, Ferdinand finirà per affrontare il matador, per salvare se stesso e i suoi amici, riuscendo a stravolgere i suo destino. La fiaba, anche se a lieto fine, non manca però di sottolineare con nemmeno troppa leggerezza, aspetti crudi dell’esistenza bovina, come appunto il rassegnarsi ad una fine crudele nella gloriosa arena o nel triste macello.
A fare da controcanto a una linea narrativa molto delicata per gli argomenti, i personaggi che fanno da contorno a tutta la vicenda convincono in parte: la capra Lupe, palesemente esaurita, i cavalli ballerini, un pelo troppo idioti, e infine i tre simpaticissimi porcospini combattenti che più di tutti riescono a strappare grandi risate.
Un film d’animazione simpatico, che tuttavia non rimane nel cuore dello spettatore. Il rischio è quello di affezionarsi di più ai personaggi di contorno, mentre l’eroe principale, per superare il cliché del machismo taurino, finisce sull’altra sponda, stereotipato e a tratti stucchevole nel suo essere pacifista e buono a tutti i costi.
Ilaria Giudici
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