Stuart “Stu” Long è un aspirante pugile con una vita disastrata, una famiglia disastrata e una salute messa anche peggio. Costretto ad abbandonare il pugilato, Stu si trasferisce a Hollywood nella speranza di diventare un attore. Qui conosce Carmen, una giovane donna di profonda fede cattolica. Sebbene ateo, pur di conquistarla Stu accetta di farsi battezzare. Ma un brutale incidente in moto provocherà nel giovane una vera conversione di fede… e il desiderio di diventare sacerdote.
Questa è una storia vera.
Come molti biopic, Father Stu soffre l’impegno del doversi raccontare. Sebbene il poster e il trailer dicano subito allo spettatore che questa è la storia di un improbabile convertito che si vota al sacerdozio, dovrà trascorrere più di metà film prima di poter vedere Stu affrontare la sua (felice) crisi di fede.
Non per questo però il film annoia. Non distribuito nelle sale italiane (al momento lo si può vedere su Chili o su Amazon Prime) in America il film è stato snobbato dalla critica ma apprezzato dal vasto pubblico. Consci delle premesse, infatti, gli spettatori possono seguire con curiosità e divertito scetticismo l’improbabile avventura che condurrà Stuart alla sua conversione. La carriera di pugile, poi di attore, lo spudorato corteggiamento di Carmen e il conflitto con la catechesi: tutti questi elementi preparano all’evento nevralgico, dove poi essi si metteranno in gioco per contrasto. In fondo, la vita è sempre una storia complessa, e così ha voluto raccontarla anche questo film.
Dispiace solo che rimanga meno spazio per l’avventura seminariale di Stu, il luogo dove queste premesse potevano dare massimo frutto.
Il fascino del soggetto sta indubbiamente nel raccontare un prete sui generis. Stu è violento, irrispettoso, opportunista. Il monsignor Kelly in primis è refrattario dall’accogliere un individuo del genere in seminario; ne va dell’immagine della Chiesa.
Ma forse è questo il tema del film: l’autenticità della fede contro il perbenismo religioso. Padre Stu è divenuto celebre per il suo realismo, la sua concretezza. L’esperienza di mondo, la “carnalità” dei suoi sermoni poco ortodossi, hanno affascinato centinaia e poi migliaia di fedeli, raccolti in fila per incontrarlo e confessarsi da lui.
Il punto è che Padre Stu non era un prete strano perché poco cattolico, ma perché lo era molto! Come accade nelle grandi storie di conversioni dal Vangelo a oggi, la fede fiorisce nei peccatori. Perché una conversione, per essere tale, deve essere un “cambiamento di strada”. Per questo la storia di Father Stu è affascinante, per questo ha contagiato tante persone, a partire dalla sua famiglia, da suo padre (un sempre piacevole Mel Gibson) fino alla fidanzata Carmen.
Stu non si castra per diventare prete; rimane uomo, rimane lo stesso uomo. Altrettanto impetuoso, altrettanto vorace e audace, con la stessa lingua lunga e lo stesso prurito alle mani. Ma tutto questo viene raccolto, messo in rapporto con un punto: il punto unico – questa è la scommessa – che possa dare senso a tutto il dramma del suo e del nostro vivere.
Alberto Bordin
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