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Familia


TITOLO ORIGINALE: Familia
REGISTA: Francesco Costabile
SCENEGGIATORE: Francesco Costabile, Adriano Chiarelli e Vittorio Moroni
PAESE: Italia
ANNO: 2024
DURATA: 124'
ATTORI: Francesco Gheghi, Barbara Ronchi, Francesco Di Leva e Marco Cicalese
SCENE SENSIBILI: alcune scene di tensione e di violenza
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

Gigi e suo fratello hanno circa dieci anni quando loro padre viene denunciato ed allontanato da casa per le ripetute violenze perpetrate contro la moglie. La famiglia inevitabilmente viene smembrata e i due fratelli finiscono in una comunità. Dieci anni dopo, i bambini sono diventati adulti e da tempo si sono ricongiunti con la madre, quando Franco, appena uscito dal carcere, rientra prepotentemente nelle loro vite. L’uomo in un primo momento sembra persino cambiato ed invece molto presto le urla, le violenze e le prevaricazioni ricominciano. I suoi figli però adesso sono grandi e davanti ai nuovi soprusi non hanno più intenzione di voltare lo sguardo…

Fuori dal tempo

Il film è liberamente ispirato al libro Non sarà sempre così, l’autobiografia di Luigi Celeste (interpretato in età adulta da Francesco Gheghi, premiato a Venezia nella sezione Orizzonti) protagonista del triste fatto di cronaca al centro della trama. Dopo nove anni di carcere scontati per l’omicidio del padre, il ragazzo ha infatti deciso di scrivere la sua storia (che lo ha visto anche militante tra i neofascisti della X Mas) e quella della sua famiglia, eccezionale nella drammaticità ma non, purtroppo, nella frequenza con cui leggiamo questo genere di notizie sui giornali.
Il lungometraggio è il secondo del regista Costabile (dopo Una femmina) che pare rinunciare senza patemi ad un realismo troppo esasperato, alleggerendo il racconto con alcuni passaggi surreali e un po’ onirici in cui la realtà pare sospesa, come fuori dal tempo. Il punto di vista sulla vicenda, così vera e così cruda, viene come deformato dal dolore, metaforicamente ma anche concretamente, attraverso l’uso di espedienti fotografici (il fisheye), scenografici (su tutte, la scena nel labirinto di specchi) e di montaggio.
Nonostante il lirismo di queste scelte stilistiche, rimane comunque intatta l’autenticità delle emozioni in gioco, soprattutto grazie all’umanità dei due fratelli – sia nel rapporto tra di loro, sia con i genitori – che fa da contrappunto all’ingenuità esasperante della madre e all’ostinata violenza, impastata di gelosia e di ossessioni, del padre.

Non aprire quella porta

La regia poi si serve di stilemi ben riconoscibili per creare la tensione giusta e condurre lo spettatore dentro al dramma esistenziale – strizzando anche l’occhio a generi cinematografici come il thriller e l’horror – ma nonostante questo riesce per paradosso a raccontare una storia di violenza quasi senza mai mostrarla, limitandosi più che altro a descriverne le conseguenze sulle vittime (in questo caso la moglie e i figli). Il risultato finale è un film che funziona e sorprende proprio grazie alla mancanza di ostentazioni e alla presenza di alcuni passaggi distensivi (nei rapporti intrafamiliari) in cui la storia sembra andare in una direzione ben diversa rispetto al drammatico ed inevitabile finale che, d’altra parte, è forse l’elemento più deludente del film perché, forse con troppa leggerezza, sembra giustificare il patricidio.

Così fan tutti?

Infatti in uno di quei passaggi un po’ visionari di cui si parlava sopra, il montaggio suggerisce dei salti che sembrano portare il protagonista fuori dal tempo della storia, in un non luogo in cui sparisce tutto il dolore e il tormento per il terribile (oggettivamente) atto appena compiuto, lasciando spazio solo al sollievo e ad un senso di liberazione che è umanamente comprensibile ma, al netto di tutta la sofferenza passata dalla famiglia, lascia comunque delle perplessità per la misura con cui viene messo in scena. Viene quasi il sospetto che la parola latina del titolo, punti più o meno consapevolmente il dito contro una concezione della famiglia (quella patriarcale?) considerata antica e in qualche modo sbagliata, la causa più o meno diretta di questo tipo di situazioni. Al netto di questa lettura – difficilmente condivisibile ma che potrebbe anche non essere l’unica possibile – il film è nel complesso ben confezionato e soprattutto utile per dare visibilità e sensibilizzare su un tema delicato e atroce come la violenza famigliare e di genere.

Gabriele Cheli

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