Inghilterra 1884. Enola Holmes, sorella dei più famosi Sherlock e Mycroft, cresce con la madre Eudoria nella tenuta di famiglia tra letture, arti marziali e esperimenti. Alla mattina del suo sedicesimo compleanno, Enola scopre che la madre se n’è andata lasciando per lei doni stravaganti che si rivelano indizi su come rintracciarla. Enola scappa così dalle grinfie dei fratelli, che vogliono chiuderla in un istituto per ragazze, per mettersi sulle tracce della madre. Durante il viaggio si troverà coinvolta in un intrigo che vede protagonista un giovane Lord in fuga. Enola non potrà far altro che aiutarlo e si troverà così a sventare, ben prima del suo famoso fratello, una cospirazione che minaccia il corso della storia e che le consentirà di aprirsi le porte per un brillante futuro da detective.
Le case di produzione sono da sempre alla ricerca di storie in grado di attirare il grande pubblico e partire da un libro, oggi più che mai, sembra la soluzione più conveniente e semplice per rispondere alla domanda “quale storia?”
Le pagine scritte sono la cartina di tornasole di un buon personaggio che se funziona sulla carta ha buone probabilità di funzionare anche sullo schermo.
Ed è proprio così che è nato Enola Holmes.
Ideata dalla penna di Nancy Springer, autrice della fortunata serie di romanzi young adult, The Enola Holmes Mysteries, basati sui personaggi di Arthur Conan Doyle, Enola Holmes sulla carta funziona, difficile dire il contrario visto lo stuolo di fan che è riuscita ad appassionare. Come adattarla però al grande schermo?
Netflix conosce il suo pubblico e sa che il grande divoratore di contenuti streaming, quello il cui passaparola è una bomba ad orologeria capace di decretare il successo – o il flop – di una serie, è la fascia giovane, quella degli young adults.
Netflix ci ha visto lungo. I libri della Springer avevano già tutte le potenzialità per costituire un franchise di successo: personaggi noti e amati, sei libri a disposizione, una fan base già costituita, un’ambientazione storica che fa eco alla contemporaneità, una tematica cara al cinema di oggi, il femminismo con il suo inno alla libertà della donna di farsi da sé. Il compito era quello di impacchettare il tutto al meglio per lo schermo.
Per farlo Netflix decide di non snaturare il romanzo: fa de Il caso del marchese scomparso, primo libro della serie, un coming of age perfetto per il pubblico giovane, soprattutto femminile; a guidare il tutto c’è lei, Millie Bobby Brown, attrice talentuosa e amata dagli spettatori di Stranger Things.
L’inizio in medias res è un assaggio di quello che sarà il film, una bomboniera ben confezionata per coinvolgere il giovane spettatore. Enola parla direttamente al pubblico rompendo la quarta parete, lo prende per mano e lo trascina, con brio e freschezza, all’interno della storia. Enola corre su una bicicletta, libera come l’istruzione che le è stata impartita, fugge dai fratelli che la vorrebbero rinchiudere in un istituto per trasformarla in una signorina a modo, ma lei è Enola, che significa sola (alone), dice; dotata dello stesso intuito di Sherlock, ha imparato fin da piccola a cavarsela da sola. Eppure Enola, nel suo percorso, capisce che non è da sola, non lo è mai stata e soprattutto non deve esserlo. Peccato che il dialogo con il pubblico, impronta inconfondibile dello stile del regista di Fleabag, sfugga di mano: all’inizio divertente e coinvolgente diventa stucchevole nel momento in cui viene utilizzato senza dosaggio, forse per dare sfogo al talento dell’attrice.
Un film lungo che guarda alla serialità senza essere una serie: tanti i personaggi poco sfruttati, Sherlock e Mycroft per primi.
Enola parte alla ricerca della madre, certo, ma si perde per strada, tanto che a metà film allo spettatore sorge spontanea una domanda: “la storia non era un’altra?”. Perchè Enola si era messa in viaggio per trovare Eudoria, ma poi l’incontro con il giovane Lord le fa cambiare strada, la madre viene dimenticata, si segue un’altra indagine, senza concludere davvero quella iniziale.
Tanta carne al fuoco, insomma, sicuramente voluta, per aprire le porte allo stuolo di sequel a venire. Quello che è certo è che se Netflix cercava un franchise, grazie ai romanzi di Nancy Springer, l’ha trovato.
Chiara Comotti
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