Emily, al suo capezzale, ricorda le vicende che le hanno ispirato Cime tempestose. Era la più eccentrica delle tre sorelle Brönte e quando in paese arriva il nuovo curato, William Weightman, bello e colto, dopo un’iniziale indifferenza, fra loro nasce un’appassionata relazione segreta. Il nuovo legame distoglie Emily dalla relazione con suo fratello, Branwell, che vorrebbe imitarla nella scrittura, ma è meno dotato e scivola nella dipendenza da alcol e oppiacei. Incapace di comprendere la libertà poetica di Emily, William si ritrae e la giovane sfoga la frustrazione sul fratello dandogli dell’incapace. Partita per Bruxelles, qui apprende che William è morto e quando torna, scopre dal fratello, anch’egli morente, che il suo amato le aveva scritto un’ultima lettera in cui la scongiurava di coltivare la sua passione per la scrittura.
La gratificazione è assicurata per gli amanti dei biopic dedicati agli autori dei classici britannici o ai contesti in cui essi sono nati. L’accuratezza dei dettagli soddisfa gli intenditori e non fa rimpiangere i precedenti. Ciò vale per l’ambientazione, con gli esterni della brughiera selvaggia quanto basta per evocare le corrispondenti turbolenze sentimentali dei protagonisti, così come per la fotografia, efficace nel descrivere sia la ventosa Albione, sia gli interni a lume di candela. Anche i costumi sono impeccabili e al servizio di un cast all’altezza della notevole interpretazione di Emma Mackey, tutt’altro che in soggezione, al suo primo ruolo da protagonista. È, però, merito dell’attrice Frances O’Connor, al suo esordio alla sceneggiatura e dietro la macchina da presa, aver fatto tesoro della già lunga esperienza attoriale e non voler solo accodarsi nel solco di un genere consolidato, quanto, piuttosto, offrire un punto di vista del tutto nuovo, in cui la sua sensibilità femminile è determinante.
Ciò che più si apprezza nel corso delle più di due ore di film è la virtuosa corrispondenza fra il tono e lo stile della rievocazione e lo sguardo e le emozioni della protagonista. Appare evidente che la regista abbia saputo trasmettere all’attrice da lei scelta, quanto da lei elaborato in sceneggiatura. Al centro vi sono lo spirito e il cuore di una donna che continuamente trasbordano dalle convenzioni della sua epoca e dalle miopie del piccolo villaggio in cui è nata. Emily non può resistere dentro alcuno schema e anche se si sforza, per esempio, di ascoltare devotamente l’omelia domenicale, il suo animo, curioso e ribelle, la porta a interrogarsi e andare oltre, incapace di accontentarsi di quello che basta agli altri e quasi costretta, invece, a seguire l’onestà della sua immaginazione, destinata presto a divenire arte nelle pagine del romanzo. La stessa storia amorosa con William – che è totalmente frutto della fantasia della sceneggiatrice – è come se dovesse cedere il passo ad una passione più grande, che travalica entrambi gli amanti e pure il legame fraterno con il fragile Branwell. Se Emily, pur sinceramente innamorata del giovane curato, appare quasi rassegnarsi alla solitudine che le impone il suo demone creativo, sono gli uomini come suo padre, Branwell e William stesso a non essere mai all’altezza del talento della giovane scrittrice, che, del resto, non trova piena comprensione neanche da parte delle sorelle, pur apparentemente più complici. Emily è un’eroina pienamente romantica eppure modernissima, rappresentata secondo tutti gli stilemi letterari a cui appartiene l’opera stessa della Brönte, eppure capace di rivolgersi al pubblico, con un’attrattiva e un fascino nuovi, soprattutto per tutte quelle donne che anche oggi hanno il desiderio e il coraggio di essere pienamente se stesse senza inseguire stereotipi maschilisti.
Giovanni M. Capetta
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