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Elle


TITOLO ORIGINALE: Elle
REGISTA: Paul Veroheven
SCENEGGIATORE: David Birke
PAESE: Francia, Belgio, Germania
ANNO: 2016
DURATA: 130'
ATTORI: Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Anne Consigny, Charles Berling, Virginie Efira.
SCENE SENSIBILI: molteplici scene di violenza e stupro, continui riferimenti verbali al sesso, esplicite scene di sesso.
1 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 51 vote, average: 3,00 out of 5

Michèle è una volitiva donna d’affari, a capo di un’azienda di videogames, con un figlio, un divorzio e un’infanzia traumatica alle spalle. Quando viene violentata nella sua casa da un uomo incappucciato, decide di non denunciare l’accaduto e iniziare una pericolosa indagine personale. Nel frattempo anche il rapporto con l’amante, con il figlio e con la madre sono messi in crisi da un vortice di accadimenti che la porterà a una resa dei conti col suo passato.

Un film troppo perfetto

Un personaggio indimenticabile e ricco di contraddizioni, un’interprete (Isabelle Huppert) mozzafiato, impeccabilmente in ruolo, una regia perfetta sino all’esasperazione: eppure, nonostante questi elementi, Elle non è il film memorabile che avrebbe potuto essere.
Nel raccontare un mondo in cui la violenza scorre sottotraccia, costretta e rinvigorita dalle maglie di un controllo totale, Veroheven (Robocop, Basic Instinct) si abbandona egli stesso alla tentazione del controllo, uniformando alla sua smania ogni aspetto del film e ottenendo un’omogeneità perfetta, ma senza vita. Il romanzo di Philppe Djian cui si ispira sembra offrire il materiale ideale per il suo intento.
Il regista procede con la scientificità di un chimico, ossessionato dalla ricerca della formula definitiva della violenza che alberga nell’animo umano. I personaggi sono piegati a questo scopo, perdendo autenticità, e diventando ologrammi di un’intenzione autoriale: in ognuno di essi risuona la voce del regista e ne sovrasta l’autonomia.
Se il dramma risiede sempre nello scontro con l’alterità, in Elle la protagonista si muove in un deserto in cui incontra proiezioni di sé e dell’abominevole trauma infantile subito. Per questo il mondo perfettamente misurato di Elle non è abitato, nonostante le apparenze, dal dramma, dal conflitto.

Un dualismo di genere senza possibilità d’appello

Pochissimi sono i personaggi a sottrarsi alla formula costrittiva di Verhoeven e del suo sceneggiatore: l’ex marito e il figlio di Michèle, rappresentanti di una virilità fallita e smussata (e comunque non ancora del tutto esente da mostruosità) e la vicina di casa cattolica, che apre uno spiraglio alla libertà di spirito vissuta nella fede così poco approfondito da risultare scarsamente comprensibile e, di conseguenza, caricaturale. In particolare la solidarietà tra le figure femminili ha qualcosa di iperbolico e ideologico, come se si volesse consegnare la possibilità di redenzione dalla violenza a un mondo di sole donne, epurato dal fantasma del maschile. Un dualismo di genere che fuggendo sfumature e commistioni percorre la via maestra del film: affermare la visione dell’autore senza possibilità d’appello, senza contrappunti.
Con questo non si vuole sminuire la perfezione formale di un film che, virtuosisticamente, sa cambiare registro dal dramma, al noir, al thriller alla black comedy, senza strappi e sbavature.

Un mistero non sufficientemente sondato

Ciò che ricorderemo di Elle non è però questa perfezione esangue, ma lo sguardo inerte della “bambina cenere” nella foto di Michèle da piccola mentre brucia i resti dei vicini sterminati dal padre. Lo splendore di Michèle (e della Huppert nei suoi panni) risiede proprio in questo essere cenere, residuo di una grande fuoco che l’ha segnata per sempre e arde in una parte di sé che ha deciso di seppellire. Rimane, al termine del film, una curiosità sul destino di questo carismatico personaggio: cosa sarebbe stato di Michèle e del suo trauma in un mondo artistico autentico e non univocamente piegato alla dimostrazione di un assioma? L’umanità di Michèle rimane un mistero non sufficientemente sondato, e questa curiosità finale è in fondo forse il più grande successo di un film troppo perfetto.

Eleonora Recalcati

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