L’adolescente Kayla Day sta attraversando un periodo difficile della sua vita: il passaggio tra scuola media e liceo. Timida e insicura, Kayla fatica a farsi degli amici e si sente poco integrata tra i suoi compagni. Per questo motivo, preferisce trascorrere le sue giornate sui social network e su Youtube, dove pubblica video motivazionali allo scopo di dare un’immagine più “cool” di se stessa. Attraverso le grandi e piccole avventure quotidiane – come la festa in piscina della ragazza più popolare della scuola o l’uscita al centro commerciale con alcuni ragazzi più grandi – Kayla affronta i suoi ultimi giorni di scuola media e il lento processo di maturazione da bambina a giovane donna…
Guardando le scene in cui Kayla fa le smorfie cercando l’angolazione migliore per una foto, finge delle esperienze sessuali che non ha o scatena la sua frustrazione contro suo padre, per poi scoppiare a piangere disperata tra le sue braccia, allo spettatore non può che scappare un sorriso. Perché quello messo in scena da Eighth Grade (la nostra “terza media”, appunto) è un ritratto molto veritiero del periodo dell’adolescenza, durante il quale un giorno su due ci si sente un brutto anatroccolo, molte volte si vorrebbe soltanto sotterrarsi per la vergogna e il desiderio più grande è quello di crescere il prima possibile. Proprio questo sguardo – divertito ma, allo stesso tempo, affettuoso ed empatico – è quello che il giovane regista e sceneggiatore Bo Burnham (classe 1990) rivolge alla sua protagonista.
Kayla è la tipica ragazzina che farebbe di tutto per sentirsi uguale agli altri, per essere notata dal tipetto per cui ha una cotta e, soprattutto, per essere considerata qualcosa di più che “la più silenziosa” (titolo per cui vince anche un premio!) della scuola. Il personaggio di Kayla è interpretato benissimo e in modo quasi commovente dall’attrice Elsie Fisher: la vediamo camminare per i corridoi della scuola tutta ingobbita, quasi a nascondersi dagli sguardi degli altri, rifugiarsi in una stanza vuota della casa della sua compagna Kennedy, che l’ha invitata alla sua festa soltanto perché obbligata dalla madre (come ci tiene più volte a ribadire), e fingere di avere sul cellulare un’intera cartella di “foto spinte” soltanto per attirare il labile interesse del ragazzino che le piace.
L’adolescenza di Kayla è complicata dall’assenza della figura materna: la madre è infatti morta quando lei aveva soltanto otto anni e Kayla è stata cresciuta da un padre single, con cui ha un rapporto tanto complicato quanto profondo (divertentissime sono le scene in cui lui si fa in quattro per cercare di comprendere la figlia e riceve, per tutta risposta, una marea di insulti o rimproveri, spesso contradditori: “Parla!”, “Non parlare!”, “Non fare quella faccia…”, “Non sospirare!”…).
Molto interessante è anche il fatto che quello di Kayla è il ritratto di una teenager moderna, caratterizzata da una doppia identità: quella reale, ai suoi occhi deprimente e senza alcun elemento degno di nota, e quella online, in cui – grazie all’utilizzo dei filtri e al fatto di non trovarsi davanti un vero e proprio interlocutore – Kayla può dipingersi molto più bella, intelligente e simpatica di quanto non si creda in realtà. Quando, però, Kayla intuisce di non essere in grado di realizzare questa fittizia versione di lei, la delusione è enorme. Ci vorrà del tempo perché capisca quanto poco sia appagante e decida di rinunciarvi definitivamente…
Mescolando elementi caratteristici degli adolescenti americani (pool party, capsule del tempo, lezioni anti-sparatorie) ad altri più universali, Eighth Grade riesce a realizzare una rappresentazione sincera di una fase della crescita molto delicata, in cui i maschi si comportano in modo molto più infantile delle loro coetanee femmine, in cui gli sbalzi d’umore sono all’ordine del giorno e in cui mettere piede a una festa in costume può diventare un’impresa molto più ardua che sopravvivere in un film horror (emblematica, in questo senso, la scena in cui Kayla si guarda attorno e nota solo gli aspetti più spaventosi dei suoi compagni di scuola, come una ragazzina che fa un ponte in perfetto stile Esorcista o un ragazzino che si gira la parte interna della palpebra).
Il messaggio finale del film è rivolto a tutti coloro che, in tempi più o meno recenti, hanno attraversato il periodo complesso eppure così affascinante dell’adolescenza: non si può essere coraggiosi senza avere paura.
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Tag: 4 stelle, Coming of Age, Commedia, Drammatico, Genitori e Figli