Per sottrarre alla morte i soldati inglesi spinti sulle spiagge di Dunkirk dall’esercito del Terzo Reich si uniscono gli sforzi della Marina di Sua Maestà e quelli di tanti civili che attraversano la Manica con pescherecci e barche da diporto per portare in salvo i loro compatrioti.
Tre piani temporali differenti (una settimana, un giorno e un’ora) corrispondenti ai diversi protagonisti del grande affresco che Christopher Nolan dipinge grazie a un sapiente uso della macchina da presa, ma anche ad una sceneggiatura parca nei dialoghi ma non per questo priva di emozioni (emblematico in questo senso il personaggio dell’aviatore interpretato da Tom Hardy).
La teorica complessità di questo tipo di narrazione, tuttavia, grazie alla bravura del regista e dei suoi interpreti, non diventa un ostacolo al coinvolgimento dello spettatore, che anzi è amplificato nella parte finale dove le linee arrivano finalmente a ricongiungersi in un potente climax che è un inno allo spirito umano e allo spirito di sacrificio di tanti, disposti a morire per un ideale più grande di loro
La musica di Hans Zimmer, che alterna passaggi epici a sottolineature dissonanti nei momenti di maggior tensione, diventa un efficace complemento nel seguire le vicende intrecciate di soldati semplici alla disperata ricerca di un passaggio verso la madrepatria, aviatori inviati a proteggerli, civili impegnati nell’eroico soccorso e ufficiali che cercano di mantenere la calma tra le bombe che i tedeschi scaricano senza pietà persino sulle navi della Croce Rossa…
Nolan getta lo spettatore all’interno del racconto attraverso la percezione confusa e limitata di un soldato semplice, Tommy, che, insieme a un altro soldato incontrato per caso, cerca con ogni mezzo di sfuggire alla spiaggia dove centinaia di migliaia di uomini sembrano destinati a morte certa.
Le informazioni essenziali sono fornite in scarni dialoghi che sono parte degli ordini impartiti dagli ufficiali per cercare di mantenere un minimo di ordine in una situazione che diventa sempre più disperata. Gli atti di coraggio e quelli dettati dalla paura si susseguono sullo schermo lasciando allo spettatore la libertà di giudicarli, ma senza mai perdere uno sguardo di pietà che accomuna i combattenti e i soccorritori.
In questo senso il film di Nolan si inserisce con naturalezza nel solco del cinema di guerra più classico, capace di narrare i grandi momenti storici attraverso le vicende individuali, preservando il senso dell’eroismo (che in Dunkirk è anche e soprattutto quello dei civili), tenendo presente, pur senza raccontarlo, il piano delle alte sfere (Churchill è solo citato) non per contestarne le decisioni (che pure possono apparire crudeli e ingiuste) ma forse per far comprendere la vertigine tra quel livello e quello di cui condividiamo il punto di vista, fatto di disperazione, paura e infine speranza, puntando su ciò che unisce (nei bellissimi dieci minuti finali in terra inglese) per rilanciare il senso di un sacrificio che non sempre è scelto e talvolta semplicemente capita ai singoli individui.
Gli interpreti, alcuni nomi più noti (oltre al già citato Hardy un convincente Branagh e il sempre grande Mark Rylance), ma anche molti interessanti volti meno familiari a partire da Fionn Whitehead, Tom Glynn-Carney e Aneurin Barnard, che compongono una costellazione di individui ai cui destini ci appassioniamo nella porzione di spazio, piccola o grande, che il film riserva loro.
Senza rinunciare quindi al virtuosismo narrativo e registico che lo hanno reso famoso, Nolan ci regala un film epico ed emozionante, che è un piacere per gli occhi e insieme una coinvolgente avventura nella storia.
Scegliere un film 2018
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