In un futuro molto lontano, governato da un Impero intergalattico, il pianeta Arrakis detto “Dune” è un pianeta di sabbia ostile, abitato dal coriaceo popolo dei Fremen e da terribili e monumentali vermi di sabbia; ma soprattutto è l’unica fonte della più preziosa sostanza dell’universo, la “spezia”. L’Imperatore incarica il Duca Leto, della potente casata Atreides, di abbandonare il suo pianeta e prendere il controllo di Arrakis. Paul Atreides, figlio del Duca e della strega Lady Jessica, seguirà il padre nella sua colossale missione. Munito di poteri sovrannaturali quali la veggenza, Paul seguirà con apprensione lo scontro della sua casata con quella dei crudeli Harkonnen e del loro Barone, i precedenti signori di Arrakis. Tra intrighi politici planetari e guerre di dominio, Paul inizierà il suo viaggio di leader dei Fremen nella ribellione contro l’oppressore.
Acclamato dalla critica e dal pubblico di appassionati, Dune è il secondo adattamento per il grande schermo del libro omonimo scritto da Frank Herbert nel 1965, primo volume di un ciclo di sei romanzi. Come ogni ri-addattamento intelligente, il film si fa forte del lavoro di chi l’ha preceduto, comprese due miniserie televisive, cercando di conservare l’utile e correggerne gli errori. Dal canto suo questa nuova trasposizione può contare della raffinata regia di Villeneuve, già autore di Prisoners, Arrival, ma soprattutto del discusso Blade Runner 2049, amato dai fan e dalla critica ma non dal vasto pubblico. Ultimo ma non ultimo, il film si è fatto forte di un budget di 165 milioni, quattro volte quelli spesi per l’adattamento di David Lynch dell’84; e questo per raccontare solo la prima metà del romanzo.
È una nota importante per lo spettatore, infatti, sapere che questo capitolo è solo la prima parte di un racconto in due atti. Uno stilema a cui ormai siamo abituati, con risultati più o meno convincenti, ma che si propone di rispondere a due bisogni: innanzitutto di creare un senso di saga, affiliando l’audience a un nuovo franchise; e secondo, di diluire sullo schermo la mastodontica quantità di informazioni contenute nel libro.
Il mondo di Dune è sicuramente complesso. La politica, l’economia, l’industria e le culture: ambientato a 20.000 anni dai tempi nostri – il film indica l’anno 10191 ma di un nuovo calendario – il racconto cerca di tessere un mondo articolato e credibile. E ci riesce magistralmente.
Per una parte sostanziale del film, lo spettatore che non ha letto il romanzo originario può trovarsi confuso, facendo fatica a mettere ordine nelle gerarchie di potere e nell’orientamento geografico – ma diciamo pure “universale” – della storia. Per qualcuno però, buona parte del fascino di Dune risiede proprio nel suo svolgersi ex abrupto, nell’evitare un’esposizione pedante e facendo immergere l’audience nel vivo dei fatti. Forse a tratti il film eccede, complice anche il minimalismo narrativo di Villeneuve che ha già dato problemi in passato. Ma il fascino e la vitalità di questo universo spinge a fermarsi e assimilare tale complessità, spesso invogliando a riguardare il film, che è sempre un ottimo indicatore.
Tuttavia quello che soffre di più di tale articolazione narrativa è proprio il protagonista. Il giovane Paul, interpretato da un malinconico Chalamet, rimane a lungo dietro le quinte, spettatore più che attore dell’impossibile missione assegnata a suo padre. La sua avventura è quella dell’elezione e della responsabilità al governo. Dotato di grandi poteri che non sa governare, figlio di uno dei più potenti politici dell’universo, Paul si chiede quale sia il suo posto nel mondo, se sia davvero lui l’eletto di cui si profetizza l’arrivo da secoli e se sarà in grado di vestire il ruolo assegnatogli. Non aiuta poi l’esistenzialismo visionario, cifra stilistica di Villeneuve, vasto e vertiginoso ma che rallenta ancora di più l’azione.
Il film però è tutto fuorché statico. Tra battaglie di eserciti e navali su larga scala, intrighi, streghe e leviatani di sabbia, il ritmo della pellicola alterna l’azione al thrilling della stasi. Il pubblico abbandona la sala fiducioso nel fatto che il lungo avvicendarsi sia stato necessario alla conversione del suo eroe. Da timido principe, Paul si solleva con convinzione e coraggio, preparandosi alla sua vocazione di leader.
Ma questo lo verificheremo nel secondo atto.
Alberto Bordin
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